Di recente, Micron Technology ha collocato sul mercato un green bond per il valore di 1 miliardo di dollari, pari all’importo stanziato lo scorso anno dalla società per finanziare un piano ambientale della durata di 7 anni. Inizialmente, l’obiettivo era di emettere obbligazioni verdi per 750 milioni e di utilizzare la liquidità aziendale per il resto. Tuttavia, nei fatti l’importo emesso è stato innalzato a 1 miliardo da investire nell’uso di energie rinnovabili, nell’efficienza energetica degli edifici e altre soluzioni per contribuire all’abbattimento delle emissioni di CO2.
E così, mentre i grandi della Terra si riuniscono prima a Roma e subito dopo a Glasgow per cercare soluzioni comuni contro i cambiamenti climatici, le aziende si danno da fare. Complessivamente, ad oggi le emissioni di green bond corporate e sovrani sono stati per un controvalore cumulato di 1.400 miliardi di dollari, sebbene per il 71% dei fondi d’investimento non abbia ancora aderito ai principi contenuti nell’Accordo di Parigi del 2015.
Green bond Micron, attenti ai rischi
Tornando a Micron Technology, il green bond da poco piazzato tra gli investitori ha scadenza 15 aprile 2032 e cedola 2,703% (ISIN: US595112BS19). La società ha calcolato di avere risparmiato 5 punti base con riferimento al rendimento che avrebbe esitato un’emissione obbligazionaria ordinaria. Da qui alla scadenza, sarebbero oltre 5 milioni di interessi lordi in meno da corrispondere agli obbligazionisti. In gergo, tale fenomeno si definisce “greenium” e quantifica il risparmio ottenuto dall’emittente indebitandosi con i green bond, anziché con obbligazioni ordinarie.
Attualmente, sul mercato il titolo prezza sotto la pari, in area 99,60 centesimi, offrendo un rendimento lordo annuo alla scadenza del 2,77%. Un livello del tutto interessante per cercare di mettere in sicurezza il capitale dall’inflazione nei prossimi anni. Tuttavia, dobbiamo fare i conti con il rischio di cambio, trattandosi di un green bond denominato in dollari USA.
Dunque, il rendimento lordo effettivo per noi sarebbe all’incirca dell’1%. Troppo poco per proteggerci dall’inflazione, che già in Italia a ottobre risulta salita al 2,9%. Solo se si riportasse ai livelli medi pre-Covid, almeno potremmo sperare nell’impresa di coprire la perdita del potere d’acquisto. Peraltro, il rischio di credito teorico non è neppure basso: rating BBB- per Fitch e S&P, Baa3 per Moody’s. Balliamo sull’orlo dell’area “junk” o “spazzatura”.