Natale amaro per azionisti e obbligazionisti Seat Pagine Gialle. La società delle directories ha reso noto le proposte di concordato preventivo tanto attese dalla comunità finanziaria che prevedono in sostanza un’equitizzazione totale del debito del gruppo e un quasi totale azzeramento delle attuali quote societarie. Un bel regalo sotto l’albero! A dieci mesi dalla richiesta di ammissione alla procedura fallimentare al Tribunale di Tornio e a poco più di un anno dalla ristrutturazione del debito subordinato pari a 1,3 miliardi di euro che inizialmente sembrava aver dato respiro ai bilanci del gruppo, Seat PG è tornata così a suscitare l’attenzione degli investitori, già dissanguati dalle precedenti scorribande di spregiudicati fondi avvoltoi lasciati liberi di scorrazzare senza alcun controllo dagli organi di vigilanza.
Conversione integrale delle obbligazioni senior in azioni Seat PG
Come noto, Seat Pagine Gialle e Seat Pagine Gialle Italia (controllata interamente dalla prima) avevano chiesto e ottenuto lo scorso mese di febbraio l’ammissione al concordato preventivo a fronte di debiti diventati insostenibili (1,55 miliardi) a causa del continuo deterioramento delle attività editoriali e della raccolta pubblicitaria che ha portato il giro d’affari da oltre un miliardo di euro a poco più di 400 milioni in tre anni.
Tempi ancora lunghi, ma l’accordo coi creditori è scontato
La proposta concordataria prevede necessariamente l’esecuzione di tutta una serie di operazioni preliminari che dovranno essere ratificate dall’assemblea straordinaria di Seat PG. In primis, la fusione per incorporazione di Seat PG Italia in Seat PG allo scopo di assicurare la piena fattibilità del concordato (le attuali azioni quotate in borsa verranno annullate). Secondariamente, verrà dato corso all’aumento di capitale in natura con l’emissione di oltre 6.410 miliardi di nuove azioni da assegnare ai creditori e agli azionisti Seat PG. Entrambe le operazioni – previsa Vincenzo Sant’Elia, Ad di Seat – saranno sospensivamente condizionate all’omologazione, in via definitiva, delle proposte concordatarie che saranno discusse preventivamente da apposite assemblee degli obbligazionisti convocate prima dell’adunanza dei creditori, inizialmente prevista per il 30 gennaio 2014, ma poi posticipata dal tribunale di Torino al 15 luglio 2014. Successivamente, se i creditori daranno il loro consenso, il Tribunale di Torino (presumibilmente a fine estate) omologherà il concordato che diventerà esecutivo 4 mesi più tardi e Seat avrà così evitato il fallimento. Il condizionale è d’obbligo poiché per mandare in porto la ristrutturazione finanziaria serve più del 50% dei consensi, ma si presume che le banche, che hanno oltre il 44% dei crediti esigibili siano già d’accordo. Anche alcuni fondi edge, che nel frattempo hanno rastrellato obbligazioni intorno al 20% del valore nominale, sarebbero propensi a diventare azionisti della nuova Seat svuotata dai debiti. L’unico scoglio è dato quindi dagli attuali azionisti che potrebbero bocciare il piano prima dell’adunanza dei creditori.
Seat PG, per gli esperti il concordato preventivo è a rischio
Al di là dei numeri e della tempistica, la realizzazione del piano di ristrutturazione lascia molti dubbi. Gli analisti di Pricewaterhouse Coopers (Pwc), che si sono astenuti dall’esprimere il proprio giudizio sull’ultima semestrale, ritengono che gli azionisti faranno fatica a dare il loro consenso. Il presupposto della continuità aziendale, utilizzato dagli amministratori per redigere il bilancio – commenta Pwc – “è soggetto a molteplici significative incertezze che dipendono da fattori che non sono sotto il controllo degli amministratori, con possibili effetti cumulati rilevanti sul bilancio consolidato semestrale al 30 giugno”. In particolare, “non esistendo un nucleo di soci di riferimento in possesso di quote sufficienti a garantire i necessari quorum costitutivi e deliberativi (al contrario di quanto avvenuto per la prima ristrutturazione del debito subordinato relativo al bond Lighthouse International da 1,3 miliardi), non vi è certezza sugli esiti dell’assemblea convocata per assumere le delibere in questione”. Non solo: sembra che i revisori abbiano molti dubbi sugli esiti del concordato di Seat PG, con un patrimonio netto positivo finale che potrebbe essere comunque insoddisfacente per sostenere l’attività durante il periodo di svolgimento del piano industriale. Dalle proiezioni elaborate da Sant’Elia, Seat post fusione avrà un patrimonio netto di soli 247 milioni di euro, mentre la società dovrebbe tornare a regime con un risultato finale positivo solo nel lontano 2018 in base al nuovo piano industriale. Nel frattempo, e in attesa che vengano ceduti assets e trovate nuove sinergie, Seat continuerà ad accumulare perdite, pur in assenza di indebitamento. Tutto questo groviglio di incertezze dovrà passare dal placet degli azionisti – osservano gli esperti di Deutsche Bank – ai quali verrà chiesto se rimanere con una partecipazione dello 0,25% nella nuova società in alternativa al nulla. La differenza non è sostanziale, visto che la capitalizzazione in borsa di Seat è scesa a circa 30 milioni di euro (da oltre 1 miliardo di 5 anni fa), e il rischio che i soci non approvino il piano è alto a giunti questo punto. L’assegnazione di warrant sembra inoltre un magro contentino che non servirà ad addolcire l’ennesima pillola amara di migliaia di piccoli azionisti che si sono visti praticamente azzerare le quote (Seat vale in borsa 2 millesimi di euro per azione!) .
Seat PG, molto tempo perso e operazioni finanziarie troppo azzardate
Dal punto di vista industriale, il business delle pagine gialle è ormai al tramonto. In tutto il mondo. Soppiantato da Google e dai social network nell’era di internet, Seat PG ha perso, non solo il monopolio, ma anche troppo tempo prima di adeguarsi ai cambiamenti della new economy e delle nuove normative sulla privacy in materia di telefonia. A questo bisogna aggiungere il peso dell’enorme debito sovracaricato sulla società nel lontano 2003 da fondi sciacalli e spregiudicati (Permira, Cvc, Investitori associati e Bc Partners) che ne ha zavorrato lo sviluppo verso il digitale. [fumettoforumleft]Ora, a dieci anni dalla famosa operazione di LBO (levereged buy out) da 3 miliardi di euro, abbitanta allo stacco di un maxidividendo da 3,5 miliardi nel 2004, che lasciò Seat PG con più di 3,9 miliardi di debiti (6 volte l’Ebitda), sembra che si voglia tenere in vita un malato terminale fino all’ultimo respiro per permettere alle solite lobby di cavare le ultime gocce di sangue da una rapa. Di fatto Seat PG è fallita ed è in fase di liquidazione, anche se non v’è ancora la sentenza formale di un giudice. La vendita di assets da parte del ceto bancario che dovrebbe diventare proprietario di Seat PG è già inizata. Telegate (è già stabilito) verrà ceduta insieme a Cipi, così che la nuova Seat, una volta alleggerita da tutti i debiti, troverà più facilmente un compratore a prezzi da saldo. E, nonostante gli attuali amministratori tentino di far vedere il bicchiere mezzo pieno con un nuovo piano industriale, quella di Seat PG sembra più una scommessa che un tentativo ambizioso di salvataggio. A non crederci più sono un po’ tutti, a partire dagli analisti di Moody’s che lo scorso 4 dicembre avevano ritirato il rating di Seat PG dopo la comunicazione che il Tribunale aveva concesso altri 6 mesi di tempo per trovare un accordo coi creditori. Per Moody’s non v’è certezza che il concordato andrà bene e ritiene che “a causa del recente peggioramento della performance operativa della società la ristrutturazione alla fine provocherà perdite per i creditori superiori al 70%“. Lo dimostrano i dati contabili: nei primi 9 mesi del 2013 i ricavi sono crollati del 24% e il Mol si è fermato a soli 87 milioni contro i 204 milioni dell’anno prima. Ma il dato che fa più paura – osservano gli analisti americani – è il patrimonio netto negativo di 1,1 miliardi di euro che si rapporta con un debito netto da 1,4 miliardi. Quindi o le banche e gli obbligazionisti rinunceranno a tutti i loro crediti (sempre che i soci siano d’accordo) o la società finirà per dichiarare fallimento.