Soltanto una settimana fa, l’Austria emetteva il suo secondo bond a 100 anni, stavolta con scadenza 30 giugno 2120 e cedola 0,85% (ISIN: AT0000A2HLC4), spuntando un rendimento annuo dello 0,88%. Il titolo si è così affiancato a un altro emesso a 100 anni da Vienna già nel settembre del 2017 e con scadenza nel settembre 2117 e cedola 2,10% (ISIN: AT0000A1XML2). Vi abbiamo spiegato le ragioni di questa apparente contraddizione nel far debuttare sul mercato un’obbligazione di così lunga durata, quando già se ne possiede un’altra.
L’Austria ha lanciato un nuovo bond a 100 anni, rendimento allo 0,88%
Il fatto è che il bond 2117 venne emesso tre anni fa in condizioni di mercato assai differenti rispetto a quelle odierne. Allora, la cedola del 2,10% fu considerata congrua, oggi appare spropositatamente alta per il debito pubblico austriaco, tant’è che questo titolo prezza da tempo intorno a valori doppi di quello nominale. Stamattina, ad esempio, viaggia in area 197. Continuare a indebitarsi a costi molto più alti di quelli che si spunterebbero sul mercato, pur a fronte di incassi doppi di quelli nominali, risultava ormai inefficiente.
Il nuovo bond è partito col botto sui mercati. Il suo prezzo di emissione era stato di 98,01, cioè sotto la pari, ma stamattina si attestava a 108,42, realizzando un guadagno di ben il 10,6%. E ieri si collocava su quotazioni prossime a 110, cioè a circa +12,2% rispetto alla data di emissione. Tutto questo in qualche seduta, con il rendimento che risulta sceso così allo 0,70%, un po’ sotto quello del bond 2117. Insomma, è stata corsa a comprare il debito di Vienna a lunghissima scadenza. Perché? Anzitutto, perché gli investitori sono a caccia di “safe assets”, tra cui oro, Treasuries, Bund e, appunto, titoli di stato austriaci. Questi ultimi hanno rating molto solidi: “AA+” per S&P e Fitch, “Aa1” per Moody’s.
Il fattore convessità
Secondariamente, trattasi di titoli che bene si confanno alla situazione attuale. Con il crollo dell’economia globale a causa del Covid-19, i mercati si aspettano tassi d’inflazione molto bassi per il prossimo futuro, se non anche a tratti negativi, così come un boom di debiti sovrani e corporate. Pertanto, meglio puntare sul lungo periodo, maggiormente al riparo dalle tensioni geopolitiche e finanziarie a breve e apparentemente tutelato anche dalla stabilità dei prezzi percepita a maggior ragione dopo questa crisi.
Fondi pensione e d’investimento vanno a braccetto con questi titoli ultra-lunghi, riuscendo così a percepire un rendimento superiore a quello che otterrebbero puntando sulle scadenze corte e medio-lunghe. In più, questi bond vengono nei fatti trattati come se fossero azioni. Basti guardare alla scadenza 2117, che è arrivata a fruttare il 136% in due anni e mezzo. Certo, l’altissima duration espone a rischi di ripiegamento nei casi di un rialzo dei tassi di mercato. Ma la buona notizia in tal senso è data dall’alta convessità, concetto di cui vi abbiamo già fornito alcune delucidazioni. In pratica, il bond 2120 tende ad apprezzarsi più nelle fasi di tassi calanti di quanto non si deprezzi nelle fasi di tassi in rialzo.
Vi proponiamo un esempio semplice per capire: se oggi il bond si deprezzasse del 10%, il suo rendimento salirebbe allo 0,90%, cioè di 20 punti base. Viceversa, se si apprezzasse del 10%, il suo rendimento scenderebbe allo 0,55%, cioè di 15 punti base. In altri termini, a parità di variazioni percentuali dei prezzi, il calo dei rendimenti risulta inferiore all’aumento. Per essere ancora più espliciti, per far scendere il rendimento del tot% serve che il prezzo salga di più di quanto non debba scendere per fare salire il rendimento della stessa percentuale.
Bond Austria a 100 anni: quale comprare tra le due scadenze per un trading aggressivo?