E’ passato poco più di un mese all’IPO di Coinbase e già la scorsa settimana la società sorprendeva il mercato con l’emissione di obbligazioni convertibili per 1,25 miliardi di dollari. L’operazione è avvenuta tramite un collocamento privato. Le azioni a Wall Street sono scese dopo la notizia, ma bisogna ammettere che il trend è calante indipendentemente da quest’ultima.
Coinbase è una piattaforma di trading per le “criptovalute”. Principalmente, su di essa si scambiano Bitcoin ed Ethereum. Ad aprile, il debutto al NASDAQ fu di ben 86 miliardi.
Il possessore avrà la possibilità alla scadenza di convertire obbligazioni Coinbase da 1.000 dollari in 2,6994 azioni della stessa società. Pertanto, il prezzo di “acquisto” tra 5 anni sarebbe di 370,45 dollari (1.000/2,6994). Venerdì scorso, la azioni hanno chiuso a 224,35 dollari, circa il 10% sotto la soglia dell’IPO. Affinché l’operazione abbia un senso economico, le azioni dovrebbero salire di oltre il 65% entro i prossimi 5 anni. A quel punto, la conversione delle obbligazioni Coinbase risulterà conveniente e il possessore maturerebbe una plusvalenza dalla rivendita del titolo in borsa.
Proprio questa prospettiva rende l’offerta allettante e ha consentito all’emittente di fissare una cedola molto bassa. Tuttavia, l’obbligazionista incorre in rischi molto elevati. Da notare che le azioni Coinbase siano crollate del 31% in 5 settimane, a fronte del -40% accusato nello stesso frangente dai Bitcoin. I due eventi sono correlati. Coinbase guadagna caricando le compravendite di “criptovalute” sulla sua piattaforma di una commissione dello 0,5%. Più alti i prezzi a cui avvengono gli scambi, maggiori i ricavi. Per contro, il tonfo di Bitcoin riduce tali ricavi e denota il rischio di un business eccessivamente concentrato su pochissimi assets non controllabili.
Certo, la volatilità di Bitcoin è tale che possiamo d’altra parte sperare in forti rialzo delle azioni Coinbase nei prossimi mesi e anni. I guadagni sarebbero finanche elevati per l’obbligazionista. Per il resto, siamo di fronte ai soliti rischi: di credito, per il caso di bancarotta dell’emittente; di cambio, qualora il dollaro s’indebolisse contro l’euro.