Quando parliamo di un’obbligazione senza cedola, il più delle volte ci riferiamo a scadenze medio-brevi. Difficile trovare sul mercato molti investitori disposti a privarsi a lungo del capitale senza beccarsi un euro di interessi. Questo genere di bond, in effetti, riconosce all’obbligazionista un rendimento pari alla differenza tra il prezzo rimborsato alla scadenza e quello pagato. Ma non sempre è così. Il caso che stiamo per esaminare riguarda un’obbligazione bancaria emessa nel lontano 1998 e che scadrà nel 2028 (ISIN: IT0001203253).
Obbligazione senza cedola in rapporto all’inflazione
Ieri, questa obbligazione senza cedola sul MoT di Borsa Italiana quotava a 85,73 centesimi. Considerata la sua vita residua di circa 5 anni e 9 mesi, ciò corrisponde a un rendimento lordo del 2,7%. Rispetto al BTp di pari durata, trattasi di un premio nell’ordine dei 60 punti base o 0,6%. E i due bond sono confrontabili, essendo Mediocredito Centrale un istituto pubblico, al 100% nelle mani dello stato tramite Invitalia. Il rischio default è praticamente prossimo allo zero.
Ma se guardiamo al passato, l’obbligazione senza cedola è stata di gran lunga più generosa. Dall’emissione fino ad oggi, ha offerto un rendimento lordo complessivo del 389%. Esso corrisponde al 6,76% all’anno, che al netto della tassazione del 26% equivale al 5% netto. Nello stesso periodo, poi, l’inflazione cumulata in Italia è stata del 50,6%. Su base annua, parliamo dell’1,7%. Questo significa che il rendimento lordo offerto è stato quadruplo rispetto alla perdita media del potere d’acquisto accusata e quello netto reale si è attestato al 3,3%.
A conti fatti, l’obbligazione senza cedola si sarebbe rivelata un affare per chi l’avesse acquistata all’atto della sua emissione sul mercato.