La settimana sui mercati che si sta per concludere è iniziata con lo shock petrolifero. Lunedì, il prezzo del greggio è partito a +20% rispetto ai livelli di chiusura della seduta precedente, esplodendo fino a 72 dollari, salvo ripiegare già sotto i 64 dollari il giorno dopo. Nel fine settimana scorso, infatti, il sito estrattivo saudita di Abqaiq ha subito attacchi con droni, pare da parte dell’Iran, e la produzione giornaliera di 5,7 milioni di barili è stata arrestata, pari al 5% di quella mondiale. Forti e immediate le implicazioni anche all’infuori del comparto energetico, date le conseguenze che un simile fenomeno comporta, specie se si mostrasse più duraturo delle previsioni.
La corsa del petrolio fa salire i rendimenti dei bond, ecco una spiegazione alternativa
Le obbligazioni di stato indiane hanno registrato cali dei prezzi e un contestuale aumento dei rendimenti. Il decennale di Nuova Delhi è salito dal 6,66% al 6,73%, mentre il biennale è passato dal 5,77% fino a un massimo del 5,83%. Al contrario, in Brasile i rendimenti sono scesi. Per l’esattezza, quelli a 10 anni sono diminuiti dal 7,41% al 7,18% e sulla scadenza a 2 anni dal 5,69% al 5,53%. L’andamento dicotomico si spiega facilmente: l’India è uno dei principali importatori di energia al mondo, mentre il Brasile estrae ogni giorno 2,7 milioni di barili. E c’è di più: lo stato sudamericano avrebbe un potenziale di crescita delle estrazioni del 70% entro il 2035, per cui approfitterebbe di eventuali situazioni di crisi nel Medio Oriente.
Mercati emergenti in ordine sparso sul greggio
L’India ha tagliato i tassi 3 volte quest’anno e chiaramente l’allentamento monetario ha sostenuto i suoi bond sovrani, con la scadenza a 10 anni ad offrire ora quasi l’1% in meno rispetto a inizio 2019.
Se le quotazioni del petrolio si sgonfiassero rapidamente, tornando ai livelli pre-attacchi, l’impatto sull’obbligazionario di paesi come India e Brasile si rivelerebbe nullo. Diverso il caso di un surriscaldamento meno transitorio dei prezzi internazionali. A quel punto, il debito delle economie produttrici di greggio verrebbe preferito a quello emesso da economie importatrici. Nel caso del Brasile, il rally servirebbe a porre un freno all’indebolimento incessante del cambio, che quest’anno ha perso un altro quasi 11% contro il dollaro.
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