Doveva debuttare verso la fine di quest’anno, ma il Tesoro ha avuto un bel da farsi negli ultimi mesi per implementare il fitto calendario delle scadenze, con titoli di stato collocati sul mercato per oltre 550 miliardi di euro, mai così tanti nella nostra storia. Per questo, l’emissione del primo BTp verde o “green” è rinviata al 2021 e ci sarà di certo. Lo ha ufficializzato ieri il responsabile per il debito pubblico del Tesoro, Davide Iacovoni, che ha anche dichiarato di non sapere ancora se lo strumento verrà rivolto esclusivamente agli investitori istituzionali o se sarà reso accessibile sin da subito ai piccoli investitori, il cosiddetto canale retail.
Da settimane, invece, è stato istituito il tavolo interministeriale per fissare le regole da allegare al collocamento.
Già, perché i “green bond” non sono formalmente uguali a quelli ordinari. Si differenziano per il fatto che i proventi raccolti debbano essere destinati a finanziare iniziative con finalità ambientali, ovvero che vadano incontro all’esigenza ampiamente avvertita di abbattere le emissioni inquinanti. Per questo, serve che il Tesoro prima di ciascuna emissione chiarisca quali misure finanziare e gli obiettivi che intende raggiungere.
BTp green, come saranno i titoli “verdi” del Tesoro e i dubbi circa la loro natura reale
Il fattore credibilità
L’Italia sta arrivando con un certo ritardo su questo segmento obbligazionario. Da settembre, la Germania ha effettuato due emissioni di Bund verdi, a sua volta arrivata dopo paesi come Polonia, Olanda e Francia. Ma l’ingresso dei tedeschi sul mercato green cambia tutto, perché potenzialmente sarà in grado di renderlo più liquido, fornendo un “benchmark” lungo l’intera curva delle scadenze. E c’è anche la Commissione europea a svolgere un ruolo di driver globale, essendosi impegnata a finanziare almeno il 30% dei 750 miliardi di euro destinati al Recovery Fund con emissioni verdi.
Dicevamo, BTp verde legato a misure di sostenibilità ambientale. Cosa fare, qualora l’emissione fosse rivolta anche al retail? Due sarebbero nel caso le ragioni pratiche per le quali investire: la sensibilità al tema dell’ambiente, le prospettive di guadagno. La prima ci porterebbe a investire nel nuovo strumento, forse anche pretendendo un rendimento inferiore a quello vigente sulle medesime scadenze per i BTp ordinari. Ma tutto avrebbe un senso se effettivamente i proventi fossero credibilmente impiegati dal governo a difesa dell’ambiente. Quanto alle prospettive di guadagno, possiamo affermare che esse siano positive per via del crescente interesse degli istituzionali verso il mercato degli ESG. Anche in questo caso, però, il fattore credibilità gioca un ruolo determinante. Se il governo italiano, magari in fase più di implementazione delle misure che non di debutto del BTp verde, si mostrasse incapace di centrare gli obiettivi promessi, si corre il rischio che il mercato giri i tacchi e si rivolga a emittenti percepiti più capaci. E questo, indipendentemente da eventuali premi offerti all’obbligazionista per il caso di parziale o totale inadempimento. Dunque, quale che sia la nostra finalità, serve un piano credibile del governo per l’ambiente, altrimenti meglio sarebbe rivolgersi ai titoli del debito tradizionali.
BTp “green” per investimenti eco-compatibili, ipotesi del Tesoro per fare cassa a costi bassi