A gennaio, l’indice dei prezzi nell’Eurozona torna a crescere dopo cinque mesi consecutivi di contrazione. L’inflazione è salita allo 0,9%, sopra lo 0,5% atteso dagli analisti Reuters, balzando dal -0,3% di dicembre e ai massimi dal febbraio 2020. Si tratta dell’accelerazione più elevata da un decennio a questa parte, sostenuta dai prezzi dei generi alimentari. In Germania, l’inflazione annuale a gennaio si è attestata all’1%. Per quanto sia prematuro affermarlo, sembra proprio che il rischio deflazione nell’unione monetaria sia stato scongiurato.
Per il mercato obbligazionario, non si tratta di una buona notizia. La risalita dei prezzi al consumo si concretizza nella perdita del potere di acquisto, che a sua volta dovrebbe impattare negativamente sulle quotazioni dei bond. I rendimenti nominali pretesi dagli investitori tenderanno a lievitare, man mano che diventerà chiaro che l’inflazione si sia riportata stabilmente sopra lo zero. E forse, anche per questo il Bund a 10 anni ieri offriva il -0,47%, ai massimi dal 12 gennaio scorso. A questi livelli, i rendimenti tedeschi si aggirano in area -1,50%. Un po’ troppo per gli stessi standard della Germania.
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Detto questo, i livelli d’inflazione non sono tali da impensierire più di tanto il mercato su un imminente cambio di passo della BCE in politica monetaria. Gli stimoli rimarranno certamente in vigore per tutti i prossimi mesi e di rialzo dei tassi non se ne discuterà fino a quando l’economia nell’Eurozona non avrà superato del tutto la crisi provocata dalla pandemia, cioè non prima della fine del prossimo anno. D’altra parte, da ieri è diventato più arduo scommettere sull’ulteriore potenziamento dell’apparato degli stimoli, specie se l’inflazione nei primi mesi dell’anno dovesse segnalare un’ulteriore accelerazione.
Il target della BCE resta “vicino, ma di poco inferiore al 2%”.
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