Audite, audite: l’Austria ha appena collocato sul mercato un nuovo bond a 100 anni, con scadenza 2120. A fronte dei 2 miliardi di euro offerti, gli ordini sono risultati superiori di 10 volte, conferma della fame di “yield” e di “safe assets” dilagante sui mercati finanziari di tutto il mondo. Se nelle previsioni in fase di “guidance” si era ipotizzato un rendimento dello 0,95%, grazie all’ottima accoglienza riscontrata Vienna ha potuto limitarsi a vendere il suo debito sovrano per un costo annuo di appena lo 0,88%, all’incirca quanto rende un BTp a 6 anni.
Se l’Austria s’indebita a 100 anni a tassi inferiori dell’Italia per 12 mesi
Non è la prima volta che l’Austria si lancia sul segmento ultra-lungo della curva sovrana, anzi sappiamo che in questi ultimi tempi ha fatto più volte parlare di sé per il bond in scadenza nel settembre 2117 e cedola 2,10% (ISIN: AT0000A1XML2), che sul mercato secondario è arrivato a prezzare fino a un massimo di 235 nel marzo scorso, praticamente più del doppio rispetto al valore nominale, per un rendimento che è arrivato così a scendere fin sotto il mezzo punto percentuale.
Ieri, alla notizia che il Tesoro aveva affidato alle banche il compito di emettere una nuova obbligazione secolare tramite collocamento sindacato, il titolo ha subito un tonfo di 15 centesimi, cioè di circa il 7,7%, salendo a un rendimento all’incirca dello 0,90%. Può apparire molto strano che un governo che ha già una scadenza così lunga, anziché emetterne una nuova tranche, abbia optato per individuare una nuova scadenza a 100 anni, frammentando la liquidità su questo segmento secolare.
Perché la corsa al bond
La ragione di questa anomalia appare indubbia. Il bond 2117 venne emesso per la prima volta nel settembre 2017 con cedola, come abbiamo scritto sopra, pari al 2,10% annuo. Allora, il tasso offerto sembrò in linea con le condizioni del mercato, senonché nei mesi successivi i tassi hanno ripreso a scendere per via delle peggiorate prospettive economiche nell’Eurozona, tant’è che la BCE ha dovuto nel corso del 2019 riesumare gli stimoli monetari, sospesi per meno di un anno.
Tuttavia, avrebbe dovuto spendere per i prossimi quasi 100 anni molto più di interessi, rispetto a quanto farà con il nuovo bond. In effetti, adesso potrà limitarsi a pagare sui 18 milioni all’anno contro i 42 che avrebbe dovuto sostenere con l’altra scadenza. L’impatto sui bilanci sarebbe stato ben peggiore. Viene da chiedersi per quale assurda ragione un investitore abbia voluto mettere in portafoglio un titolo così poco remunerativo, con il rischio che nei prossimi anni il tasso d’inflazione più che eroda il rendimento lordo. L’identikit dell’acquirente è l’istituzionale che guarda al lungo periodo per impiegare la liquidità dei clienti, come nel caso delle assicurazioni e dei fondi pensione. In effetti, pochi giorni fa la stessa Austria si è potuta permettere di emettere con successo un bond con scadenza nel giugno 2077 e senza cedola (ISIN: XS2194446725) per 150 milioni. Di fatto, ormai il trentennale per Vienna è diventata una scadenza media. I rendimenti a 50 anni sul secondario viaggiano ad appena lo 0,50%.
Da un lato, è vero che il bond rischia di infliggere elevate perdite nel caso di rivendita anticipata, qualora i tassi di mercato saranno per allora saliti, dall’altro vi sono ottime opportunità di guadagno per il caso in cui i tassi dovessero scendere ulteriormente. E data la convessità positiva del titolo, man mano che i tassi salgono il calo dei prezzi sarà inferiore alla crescita che riceverebbero da un calo dei tassi.
Ecco perché investire nel bond austriaco a 100 anni con rendimenti da fame ha senso