L’Austria ha dato mandato a un sindacato bancario di collocare sul mercato 3 miliardi di bond “benchmark” a 5 anni. Nulla di inconsueto, se non fosse che potrebbe trattarsi del primo collocamento sindacato ad esitare rendimenti negativi e che la stessa Vienna avrebbe affidato il compito di valutare i termini per l’emissione di un secondo bond a 100 anni dopo quello già emesso nel 2017 e con scadenza nel 2117 (ISIN: AT0000A1XML2). Il governo del cancelliere uscente Sebastian Kurz punta a sfruttare questo momento di massima euforia sui mercati, dove la caccia al rendimento sta spingendo gli investitori ad acquistare titoli con scadenze sempre più lunghe, oltre che più rischiosi.
Giapponesissazione dei bond: grandi affari con rendimenti sotto l’inflazione anche per 100 anni
Due anni fa, dicevamo che l’Austria emise un bond secolare con cedola di appena il 2,10%. Da allora, però, il rendimento già evidentemente basso non ha fatto che diminuire e oggi risulta sceso in area 1,10%, per cui è diminuito di 100 punti base dal suo sbarco sul mercato. Che si tratti di una follia non ci sarebbe granché di cui discutere. Immaginate che la sola inflazione, nel caso in cui il bond fosse acquistato per essere mantenuto fino alla scadenza e lasciato in eredità ai posteri, si mangerebbe gran parte del capitale investito, a meno di non credere che da qui a un secolo i prezzi nell’Eurozona praticamente rimangano fermi o si terranno al di sotto dell’1%.
La verità è che queste emissioni così longeve hanno natura diversa, ovvero che gli acquirenti puntano a tenerle in portafoglio per mantenere alta la qualità degli assets, confidando nella possibilità di disinvestire anticipatamente con perdite eventualmente marginali. L’Austria ha un debito pubblico dalla durata media di 10 anni, oltre 3 in più rispetto all’Italia. Grazie ai suoi rendimenti azzerati fino ad almeno la scadenza dei 10 anni e che di poco superano lo 0,80% per quella a 50 anni, facile immaginare che di questo passo possa consolidarlo ulteriormente, emettendo titoli sempre più lunghi e senza accusare un aumento della spesa per gli interessi, se è vero che ad oggi paga un costo medio superiore al 2%.
Così scricchiola l’euro
Tutto ciò diventa paradossalmente pericoloso per l’euro. Se alcuni paesi riescono ad emettere debito a costi negativi, cioè guadagnandoci fino ai 10-15 o quasi 20 anni, e possono permettersi di indebitarsi da qui al prossimo secolo a costi inferiori a quelli sostenuti dai partner del sud per le scadenze medio-lunghe, il rischio è che le distanze tra i mercati “core” e la periferia tendano ad ampliarsi, innescandosi tra i primi un circolo virtuoso, che li renderà ancora più inarrivabili rispetto ai secondi e per condizioni spesso slegate dai singoli contesti nazionali, quanto di natura sovranazionale e legata alla percezione che gli investitori hanno delle prospettive dell’euro tra nord e sud.
Belgio emette bond a 100 anni in euro
La Germania non sta approfittando di questa tendenza, almeno non fino ad oggi, continuando a mostrare una durata media dei suoi bond intorno al 5,5 anni, inferiore all’Italia, volendo capitalizzare al massimo l’impatto benefico dei rendimenti negativi sui suoi conti pubblici e non avvertendo la necessità di consolidare il debito nemmeno prima del rialzo dei tassi, visto che non vi sarebbero dubbi sulla sua sostenibilità. Il Tesoro di Roma, se anche volesse allungare progressivamente le scadenze, dovrebbe accollarsi nel breve aumenti di costi non al momento sostenibili. Un trentennale italiano rende più del 3% contro meno del 2% del rendimento medio dei BTp attualmente negoziabili sul mercato secondario, per cui pagherebbe di più e ciò si rifletterebbe negativamente sul deficit.
Certo, c’è periferia e periferia. Spagna e Portogallo stanno assistendo a un tracollo dei rispettivi rendimenti ai minimi storici, con i bond a 30 anni in area entrambi in area 1,35-40%.