Alla fine di novembre, titoli di stato italiano per un controvalore di oltre 530 miliardi di euro si trovavano nel portafoglio della BCE, di cui 412 miliardi per effetto degli acquisti condotti con il “quantitative easing” e 118 miliardi tramite il PEPP. Praticamente, quasi un quinto del debito pubblico italiano è in mano a Francoforte, salendo a circa il 26% nel caso in cui ci concentrassimo sui soli titoli di stato ed emessi con scadenze superiori ai 12 mesi. Nei prossimi mesi, questa concentrazione dei BTp nelle mani della BCE tenderà a crescere.
Una buona notizia per il Tesoro, non per il mercato. Il primo avrà modo di finanziarsi anche nel medio termine senza alcun problema di costo, nonostante il rapporto debito/PIL stia salendo al massimo storico del 160%, se non di più. Gli investitori, però, troveranno sempre più difficile compravendere bond. Per un trader, la liquidità di un asset costituisce un concetto estremamente importante per decidere se acquistarlo. Prendete un diamante: tutti gli assegniamo un valore elevato, ma gli scambi giornalieri di diamanti nel mondo sono rari e non passano per un vero mercato come per l’oro. Dunque, diventa un investimento rischioso, perché anche se si accrescesse di valore nel tempo, diverrebbe complicato rivenderlo per monetizzarlo.
Succede spesso anche con i titoli finanziari. Quando sono di scarso importo, magari perché con caratteristiche peculiari (si pensi alle obbligazioni subordinate dal taglio minimo unitario elevato), si hanno difficoltà a comprarli e spesso ancora di più a rivenderli. I prezzi teorici, forniti dagli scambi precedenti, non si mostrano in grado di mettere in connessione domanda e offerta. Gli spread denaro-lettera restano elevati, cioè il venditore pretende un prezzo minimo superiore al prezzo massimo a cui il compratore è disposto a investire, per cui i tempi della compravendita si allungano e i prezzi subiscono anche grosse variazioni in un senso o nell’altro.
Liquidità come fattore chiave per investire sul mercato obbligazionario
La giapponesizzazione del mercato sovrano
Per i titoli di stato europei, lo scenario sembra sempre più questo. Già oggi, chi volesse acquistare un Bund dovrebbe dotarsi di pazienza, perché tra la BCE che li acquista e il Tesoro tedesco che ne ha emessi in questi anni in ridotte quantità per via della politica fiscale molto solida di Berlino, in circolazione ve ne sono pochi. Si direbbe che questo non sia il problema italiano, con un debito pubblico che a fine anno dovrebbe arrivare a 2.600 miliardi, di cui circa 2.200 in forma di obbligazioni. Il fatto è che solo una percentuale minoritaria risulta effettivamente tradabile. Tra banche e assicurazioni italiane, circa il 45% dei BTp si trovano in una sorta di “fortino”, da cui difficilmente escono, se non quando vi è da monetizzare elevati guadagni virtualmente accumulati nel periodo precedente. Poi, c’è la BCE con circa un quarto delle detenzioni, anch’essa un investitore “cassettista”. Le famiglie pesano per circa il 6% e parliamo di investitori anch’essi che puntano perlopiù ad arrivare alle scadenze.
Resta circa un 25%, la quota in mano agli investitori stranieri. Questi si mostrano i più spregiudicati nel vendere o acquistare i BTp, vuoi per la natura spesso speculativa (fondi “hedge”), vuoi anche per la maggiore sensibilità agli accadimenti italiani di cui hanno minore conoscenza. Ma anche molti fondi e banche all’estero puntano a tenere i titoli nel cassetto, specie in un periodo come questo di rendimenti molto bassi o negativi, in cui i BTp spiccano per relativa generosità.
Il più grande pericolo sul mercato obbligazionario adesso si chiama liquidità