Ford Motor Company ha emesso obbligazioni non garantite per un controvalore totale di 8 miliardi di dollari e suddivise in tre tranche. La prima, da 3,5 miliardi, scade il 22 aprile 2023 e offre cedola 8,5%; la seconda, da 3,5 miliardi, scade il 22 aprile 2025 e offre cedola 9%; la terza, da 1 miliardo, scade il 22 aprile 2030 e offre cedola 9,625%. Si è trattata della prima emissione da quando il rating della società è stato tagliato a “junk” o “spazzatura” a marzo da parte di Standard & Poor’s, seguendo lo stesso intervento di Moody’s del giorno prima, che ha ridotto il suo giudizio sul debito a “Ba1”.
Obbligazioni Ford ora ‘spazzatura’ per Moody’s, per il mercato corporate è allerta
Alte cedole, come abbiamo visto, ma va riconosciuto il coraggio dell’azienda di scommettersi sul mercato in una fase così difficile e dopo essere stata scaraventata negli inferi del mercato obbligazionario da due delle tre principali agenzie di rating. La mossa segue l’annuncio della Federal Reserve di sostenere i titoli obbligazionari emessi dalle società americane declassate a “spazzatura” in questa fase di crisi scatenata dal Coronavirus.
Allettanti che possano apparire, i bond di Ford presentano anche rischi altrettanto elevati. A marzo, la società aveva ottenuto una linea di credito da 15,4 miliardi, che si è andata ad aggiungere ai 22,3 miliardi di liquidità disponibile alla fine del 2019. Ma l’8 aprile scorso, sempre stando alla società, di cash ne possedeva 30 miliardi, per cui tra la fine di dicembre e quel giorno risulta essere stata “bruciata” liquidità per 7,7 miliardi. Sommando questi 8 miliardi raccolti sul mercati, la somma risale a 38 miliardi, teoricamente capace di tenere in vita Ford per ancora diversi mesi senza produrre. E proprio lo stop alla produzione degli stabilimenti con il “lockdown” deciso dai vari governi per combattere il Coronavirus sta impattando negativamente sui conti.
I rischi sui bond Ford
C’è da considerare anche che la linea di credito ottenuta a marzo presuppone per contratto garanzie fornite dalla società ai creditori bancari, per cui questi verrebbero soddisfatti prima degli altri nel caso di default. In un certo senso, sarebbe come ammettere che le obbligazioni non garantite emesse siano alla stregua di subordinate. E non si creda che i problemi finanziari di Ford nascano con il Coronavirus. Nel primo trimestre, le perdite sarebbero state di 2 miliardi, a fronte di ricavi per 34 miliardi. Ma già nel trimestre precedente segnava un rosso di 1,7 miliardi. Vi basti sapere che in Cina, mercato su cui la società aveva puntato moltissimo, produceva 1,2 milioni di veicoli ne 2017, scendendo a 732.000 nel 2018 e ancora a 535.000 nel 2019.
Il piano di ristrutturazione lanciato per ridare linfa alle vendite potrebbe averne aggravato la crisi, puntando sui segmenti SUV e auto sportive, quelli che presumibilmente accuseranno di più il colpo con la congiuntura internazionale parecchio sfavorevole. E nel frattempo, nel quarto trimestre 2019 l’EBIT è crollato da 8,8% a 2,8% negli USA, a solo 0,3% in Europa e, pensate un po’, a -21,5% in Cina. Tutto questo, ben prima che si parlasse nel mondo di pandemia. A fronte di questi dati pesanti, la casa automobilistica risulta indebitata per oltre 100 miliardi da restituire nel medio-lungo termine. Il rischio di default appare obiettivamente alto e in veloce crescita, per cui si capisce come mai solamente alla fine dello scorso anno la stessa Ford fosse capace di raccogliere capitali a un tasso di appena il 3,5% per una scadenza decennale, mentre nei giorni passati sia stata costretta ad offrire quasi tre volte tanto.
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