Quando investiamo sui mercati finanziari, una delle condizioni principali per non accusare perdite maggiori del dovuto riguarda il grado di liquidità del titolo che abbiamo inserito in portafoglio. Nelle scorse settimane, l’ESMA (“European Securities and Markets Authority”), l’ente di vigilanza per il mercato dell’Unione Europea, ha lanciato l’allarme sui fondi obbligazionari UCITS, quest’ultimo acronimo per “Undertakings for the Collective Investment in Transferable Securities”. Fino al 40% di quelli che investono in bond “high yield” sarebbe a rischio liquidità nel caso di un forte ripiegamento del mercato.
$5.600 miliardi di bond in meno con rendimenti negativi da fine agosto
Secondo l’ESMA, tra il 2007 e il 2018, i fondi UCITS con domicilio nella UE hanno espanso i loro assets del 50% a 9.300 miliardi di euro. Parliamo di quei fondi che possono investire in tutta la UE e per i quali sono fissati criteri d’investimento, tra cui gli assets nei quali non possono impiegare la liquidità dei clienti.
Qual è il problema? Fino a quando i prezzi salgono, nessun inconveniente. Quando iniziano a scendere precipitosamente, si crea un potenziale rischio di liquidità, specie per quei fondi che hanno investito il loro portafoglio in misura massiccia in obbligazioni ad alto rischio, quelle tipicamente più esposte ai cali delle quotazioni nelle fasi avverse del mercato. E il fenomeno riguarda direttamente gli aderenti a questi fondi, a cui viene consentito generalmente di disinvestire secondo il valore netto degli assets nella data seduta.
Il rischio liquidità con un tonfo dei bond
In cosa consiste il rischio di liquidità? Quando domanda e offerta non s’incontrano facilmente e i prezzi sono costretti a muoversi anche di molto per far sì che un venditore trovi un acquirente disponibile a comprare o viceversa. I più interessati sono di solito le emissioni esigue, così come quelle su cui si addensano le vendite in un periodo molto ristretto, cioè per le quali non esiste domanda fino al raggiungimento di un prezzo minimo molto inferiore a quello vigente.
Liquidità come fattore chiave per investire sul mercato obbligazionario
Ovviamente, non tutti i fondi obbligazionari sono esposti in egual misura all’incognita della liquidità. I fondi pensione, ad esempio, limitano fortemente i disinvestimenti quotidiani e meno preoccupante sembra essere la situazione anche di quelli di ampie dimensioni, con portafogli diversificati e che, pur accontentandosi di una “yield” relativamente bassa, abbiano investito perlopiù in bond con rating medio-alti, i quali subiscono le perdite minori nelle fasi avverse, non scatenando, peraltro, quel panico che colpisce chi generalmente detiene obbligazioni di qualità scadente. Vi chiederete perché non stiamo accennando ai fondi azionari. Il fatto è che le azioni di una società sono titoli tutti uguali, mentre le obbligazioni divergono a seconda della cedola e della durata residua, per cui ciascun bond possiede un mercato relativamente di minori dimensioni.
Va detto, però, che sul mercato si registra negli ultimi tempi la tendenza ad accumulare liquidità, vuoi per gli scarsi rendimenti offerti dagli impieghi, vuoi anche per la previdenza che molti investitori istituzionali mostrano nel tenersi pronti a cambi di direzione degli assets. Si tratta di un fuoco di sbarramento contro eventuali ondate di panico che si traducessero in “sell-off” assai marcati e generalizzati. Non che questo di per sé escluda quanto scritto sopra, semmai dovrebbero valutarsi i singoli casi per capire quali fondi siano maggiormente soggetti a problemi di liquidità con un crash dei mercati obbligazionari.