Greta Thunberg è svedese e forse non è un caso che sia una ragazzina con le trecce bionde del Nord Europa ad avere ingaggiato una battaglia mediatica dirompente e globale sulla lotta ai cambiamenti climatici. I paesi scandinavi sono molto sensibili al tema, che sta facendo breccia anche nei portafogli degli investitori, se è vero che quest’anno le emissioni di “green bond” dovrebbero raggiungere i 250 miliardi di dollari, circa un terzo in più rispetto al 2018. E l’anno prossimo arriverebbero a 400 miliardi, mentre nel giro di pochissimi anni sarà tagliato il traguardo dei 1.000 miliardi o del trilione, come si dice nella terminologia anglosassone.
Eppure, i “green bond” sono assai meno popolari di quanto pensiamo proprio dalle parti di Greta. No, non è ipocrisia, che pure sul tema dell’ambiente abbonda un po’ a ogni latitudine, quanto di opportunità. Le obbligazioni verdi, i cui proventi sono destinati all’abbattimento delle emissioni inquinanti, risultano più difficili da collocare sul mercato nel Nord Europa, o meglio, rischiano di provocare problemi al trading degli altri bond ordinari del debito pubblico.
Un esempio ce lo sta offrendo la Danimarca. La sua banca centrale vorrebbe accingersi ad emettere il suo primo “green bond”, anche perché la premier Mette Frederiksen ambisce a tagliare di ben il 70% entro il 2030 il livello di CO2. Il problema è che Copenaghen risulta possedere un mercato sovrano già poco liquido e se in futuro si creassero due scompartimenti su cui investire, le criticità rischierebbero di acuirsi. Il rapporto debito/pil nello stato al nord della Germania si attesterà quest’anno al 33%, tra i più bassi d’Europa e del mondo avanzato. I suoi bond vantano rendimenti negativi lungo l’intera curva, con il decennale a offrire adesso sotto il -0,30% dal +0,20% di inizio anno e il ventennale un -0,10% dal +0,60%. La scadenza a 2 anni, invece, sprofonda al -0,75%, in ribasso dal -0,50% a cui aveva aperto il 2019.
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Il problema della liquidità degli scambi
I bond sovrani danesi fungono da beni rifugio contro le tensioni internazionali e, pertanto, registrano un’altissima domanda in una fase incerta come questa. Secondo il capo economista della banca centrale, Las Olsen, anche la domanda per i green bond sarebbe eventualmente molto alta. Ecco svelato perché i paesi scandinavi non stiano correndo ad emetterli. La Svezia lo farà entro l’anno prossimo, l’Olanda è stata la prima emittente con rating “AAA” ad averlo fatto a inizio anno per circa 6 miliardi, ricevendo ordini per 21 miliardi. La Germania ne parla, ma ancora niente. Insomma, i green bond non sono impopolari di per sé nel Nord Europa, semplicemente gli stati qui hanno il “problema” di come consentire che il trading dei rispettivi titoli del debito non divenga troppo difficoltoso, ovvero che i mercati sovrani restino liquidi.
Parliamo di economie non soltanto poco indebitate, ma con conti pubblici perlopiù in attivo e che, quindi, presentano emissioni nette di bond negative, nel senso che collocano sul mercato meno carta di quanta ne arrivi a scadenza. Proprio per questo, i Bund vanno a ruba e sono arrivati a rendere sottozero fino ai 30 anni. Se Berlino emettesse pure la loro variante verde, finirebbe per rendere ancora più complicato l’acquisto di titoli già scarsi.
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