Giovedì scorso, la BCE ha ridefinito il target d’inflazione. Non sarà più “vicino, ma di poco inferiore al 2%”, bensì “del 2%”. Una puntualizzazione, che si era resa necessaria per rimediare alla confusione generata in questi anni sui mercati circa la vera natura dell’obiettivo. Altro aspetto rilevante, se non il più rilevante, riguarda la sua “simmetricità”. L’istituto tollererà tassi d’inflazione più alti/bassi del 2% successivamente a periodi in cui essi siano stati più bassi/alti di tale percentuale.
Il possibile impatto sul mercato dei titoli di stato sarebbe dirompente. La ridefinizione del target BCE non arriva in un momento casuale. Essa si pone l’obiettivo di segnalare agli investitori che l’istituto non correrà ad alzare i tassi e/o a tagliare gli stimoli monetari non appena l’inflazione nell’Eurozona avrà centrato stabilmente quel poco meno del 2% sin qui individuato come obiettivo.
In un certo senso, la BCE sta comprando tempo. Questo significa che tollererà un’inflazione media nell’area più alta del 2% per un certo periodo (per quanto?), al fine di sostenere la ripresa del PIL post-Covid con una politica monetaria sufficientemente espansiva. In teoria, dopo ben 8 anni in cui la crescita tendenziale dei prezzi è rimasta sotto il target BCE, avremmo parecchio tempo a disposizione prima di assistere a una stretta sui tassi.
Nuovo target BCE e impatto sui BTp
Per i BTp significa un sospiro di sollievo. I titoli di stato italiani sono considerati tra i più a rischio nell’Eurozona per via del nostro alto debito pubblico. La prospettiva di una politica monetaria meno accomodante tende a far salire lo spread, cioè ad alzare i rendimenti italiani più di quanto non avvenga con quelli tedeschi e degli altri mercati europei. Ma adesso che il taglio degli stimoli si allontanerebbe, probabile che i bond tricolori si consolidino e che lo spread BTp-Bund a 10 anni stringa verso 100 punti base o anche al di sotto di esso.
E la revisione del target BCE avrebbe conseguenze anche sulla forma della nostra curva sovrana. Poiché le lunghe scadenze scontano le aspettative d’inflazione e quelle brevi risentono perlopiù delle aspettative sui tassi, dovremmo immaginare rendimenti compressi sul tratto corto e in tendenziale risalita su quello lungo. In altre parole, la curva diverrebbe un po’ più ripida.