L’Italia dice “no” al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità ratificato da tutti gli altri Parlamenti nazionali. Ieri, Fratelli d’Italia e Lega hanno ribadito la loro opposizione, mentre Forza Italia si è astenuta. Il partito della premier Giorgia Meloni ha eccepito che vi sarebbe un coinvolgimento insufficiente del Parlamento, ad esempio, in fase di eventuali ulteriori versamenti a favore dell’ente di diritto lussemburghese. La sostanza politica è un’altra: l’accordo sul nuovo Patto di stabilità è stato un compromesso insoddisfacente per l’Italia, che adesso cerca di fare valere la propria posizione mettendo fine alla riforma del Mes.
Spread in calo da due mesi
Da mesi si specula circa il fatto che la mancata ratifica del Mes metterebbe l’Italia in condizioni penalizzanti sui mercati finanziari. La riforma del 2020 rappresenterebbe un ombrello offerto ai paesi membri dell’Eurozona per il caso di crisi dei conti pubblici. Un aiuto per evitare il default, insomma. Le cose stanno molto diversamente e un segnale in tal senso sarebbe arrivato negli ultimi tempi dallo spread. E’ sceso nei paraggi dei 160 punti base, quasi mezzo punto percentuale in meno rispetto a due mesi fa.
La riforma del Mes c’entrerebbe con lo spread. Presentata come un sostegno agli stati in difficoltà finanziaria, nei fatti si è rivelata tutto il contrario. Accedere a un prestito nel caso in cui si avessero grossi problemi con il rifinanziamento del debito pubblico sui mercati, alla luce delle stringenti regole fissate risulterebbe impossibile. Paradossalmente, neppure la Germania avrebbe modo di accedervi. Bisognerebbe avere rispettato tra l’altro regole di bilancio come un deficit massimo al 3% e un debito al 60% del PIL nei due anni precedenti, nonché passare per il vaglio della sostenibilità del debito da parte del Mes medesimo.
Nuove CACs
In pratica, il Mes non servirebbe a chi ne avrebbe bisogno, perché per ottenere un prestito si devono avere i conti a posto.
Ad oggi, le CACs prevedono dal 2013 che fino al 45% dei bond emessi con durata superiore all’anno possono prevedere meccanismi di rinegoziazione. Per essere sintetici, lo stato che li emette può chiedere agli obbligazionisti di accettare un taglio delle cedole o del capitale o l’allungamento delle scadenze, la ridenominazione in un’altra valuta. Tale richiesta deve essere votata dall’assemblea dei creditori in possesso dei singoli bond oggetto di rinegoziazione e dell’assemblea dei creditori in possesso di tutti i bond da rinegoziare. In pratica, serve il doppio voto.
Riforma Mes facilita ristrutturazione debiti
Con la riforma del Mes di voto ne basterebbe uno solo, quello dell’assemblea di tutti i creditori in possesso dei bond da rinegoziare. Questo meccanismo intenderebbe snellire le procedure di ristrutturazione dei debiti sovrani all’occorrenza, ma l’Italia ha sin da subito temuto che sui mercati possa passare l’idea che il nostro debito pubblico diventi ancora più rischioso. Fateci caso, è come se dicessimo agli investitori che abbiamo approvato norme più favorevoli agli stati nel caso di difficoltà finanziarie. Dunque, potrebbero perdere più facilmente il loro denaro. E poiché il debito pubblico italiano risulta il più elevato dell’Eurozona sul PIL dopo la Grecia, a rimetterci saremmo evidentemente noi.
La discesa dello spread in concomitanza con l’opposizione dell’Italia al Mes parrebbe meno bizzarra di quanto i media vogliano far credere.