Il Tesoro americano emetterà nella prima parte del 2020 un Treasury a 20 anni. L’annuncio è stato dato dal segretario Steve Mnuchin nei giorni scorsi, attraverso un comunicato nel quale si chiarisce che “continueremo a valutare altri potenziali nuovi prodotti” con il fine di rifinanziare il debito ai costi più bassi possibili. Si tratta di un ritorno sul mercato dopo ben 34 anni, visto che le emissioni del ventennale negli USA furono abbandonate nel lontano 1986, quando si optò per la scadenza a 30 anni per puntare sulla parte più lunga della curva.
A dire il vero, l’annuncio avrà deluso quanti si aspettavano un’imminente emissione a 50 anni. L’America non emette debito per scadenze superiori ai 30 anni. L’unica volta che il governo di Washington si rifinanziò sul mercato a 50 anni fu nel 1911, quando dovette reperire i capitali per la costruzione del canale di Panama. E tra il 1955 e il 1963 emise Treasuries a 40 anni, dopodiché abbandonò anche questa scadenza.
Treasury a 50 anni in vista, ma l’America deve evitare l’errore dell’Austria
Il presidente Donald Trump continua a premere da tempo per l’emissione di bond a 50 anni, sostenendo che anche il Tesoro dovrebbe approfittare del momento favorevole sui mercati, dove i rendimenti hanno toccato un po’ ovunque i minimi storici. Tuttavia, sarebbero proprio gli investitori a non desiderare una simile soluzione. Già oggi, ad esempio, i fondi esteri posseggono appena il 9% del Treasury a 30 anni, preferendo le scadenze più brevi. Dal canto suo, lo stesso governo americano non ha avuto nei decenni alcun bisogno di puntare sulle scadenze ultra-lunghe, perché a differenza degli emittenti più a rischio, esso gode di fiducia quasi illimitata tra gli investitori e per questo non deve temere il variare delle condizioni di mercato in senso troppo sfavorevole.
Emissioni a breve scadenza in calo?
Non è un caso, ad esempio, che nemmeno la Germania si rifinanzi oltre i 30 anni. Berlino sa che può confidare su rendimenti ragionevoli in ogni situazione, essendo percepita molto favorevolmente sui mercati finanziari. Ovviamente, anche gli USA hanno un bond con scadenza residua di 20 anni sulla loro curva dei Treasuries, sebbene si tratti di un titolo emesso inizialmente a 30 anni. Attualmente, il ventennale americano offre il 2,11%, un rendimento che si colloca a metà strada tra l’1,81% offerto dal decennale e il 2,26% dal trentennale. Lo spread 20/10 anni si aggira, quindi, sui 30 punti base, quello 30/10 anni sui 45. La distanza tra rendimenti a 30 e quelli a 10 anni appare sufficientemente elevata per garantire all’emissione a 20 anni una buona domanda, in quanto esiterà quasi certamente un rendimento appetibile rispetto alla scadenza decennale, pur rimanendo debitamente inferiore a quello trentennale.
Ora, serve capire a chi “ruberebbe” il posto l’inserimento di queste nuove emissioni nel calendario delle aste del Tesoro. Verranno sfoltite le emissioni a medio-breve termine o le altre a lungo? Se prevalesse la linea Trump, diremmo che a farne le spese sarebbero le prime. In questo modo, Mnuchin risponderebbe all’esigenza di allungare le scadenze medie e al contempo, per via della minore domanda, ridurrebbe i rendimenti sul tratto breve della curva, rendendola un po’ più ripida, cosa che il mercato tende a valutare positivamente, cioè come segnale di miglioramento delle prospettive per l’economia americana.
Viceversa, se le emissioni ventennali prendessero il posto di altre scadenze lunghe come il trentennale, poco senso avrebbe sul piano della vita media del debito federale. Anzi, questa rischierebbe persino di essere accorciata, ragione per cui crediamo che il Tesoro alla fine opterà per tagliare le emissioni medio-brevi, dati anche gli spread relativamente bassi.
L’America pensa a un Treasury a 50 o 100 anni