Già nei giorni scorsi l’ex premier italiano e già governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, aveva presentato il suo rapporto sulla competitività. Ne era scaturito un dibattito vivace, che ricalca quello che da anni tiene banco a Bruxelles e che vede contrapposti Nord e Sud Europa. Ieri, all’Europarlamento ha voluto presentare le sue osservazioni e ha rilanciato con più nitidezza e forza uno dei suoi punti salienti: gli Eurobond. Ha spiegato che contrastare il mercato unico dei capitali e le emissioni di debito comune equivale ad andare contro gli obiettivi che si è prefissa l’Unione Europea.
Draghi vuole scuotere Bruxelles
Il Nord Europa è stato e resta contrario alla proposta sugli Eurobond, cioè alle emissioni di debito comune. Sul punto Draghi ha ricevuto le accuse anche del Movimento 5 Stelle, secondo cui perseguirebbe “un’economia di guerra“. Egli propone che gli stati comunitari emettano titoli del debito per finanziare la transizione energetica e la difesa, due emergenze emerse in questi anni. L’esempio sarebbe proprio il Next Generation EU varato con la pandemia e prima ancora le azioni messe in campo per reagire alla crisi dei debiti sovrani e dell’economia.
Per Draghi servirebbe investire in innovazione e gli obiettivi sopra citati qualcosa come il 5% del Pil UE o circa 800 miliardi di euro all’anno. Le emissioni di Eurobond non convincono, anzi fanno imbufalire, stati come la Germania. Esse equivalgono ad indebitarsi tutti insieme, sgravando nei fatti i bilanci nazionali da voci di spesa altrimenti ricadenti su di essi. In apparenza, una situazione “win-win”. Tuttavia, il debito comune sarebbe preferibile ai debiti nazionali per il semplice fatto che gode di maggiore credibilità sui mercati, grazie al rating tripla A assegnatogli dalle principali agenzie.
Ragioni del Nord Europa
Ma gli stati cosiddetti “frugali” lamentano che questa credibilità derivi dalla loro solidità fiscale.
La situazione è molto più complessa. Ci sono ragioni anche nel Sud Europa per portare avanti il discorso sugli Eurobond. Se vogliamo realmente tendere a quella che per Draghi sarebbe un’autonomia vitale rispetto ai grandi colossi economici mondiali (Stati Uniti e Cina, in testa), è doveroso abbandonare i reciproci pregiudizi e concentrarci sulle modalità più efficaci e veloci per raggiungere i nostri obiettivi strategici. Il rischio per l’italiano è che si disgreghi il mercato unico, visto che i paesi con maggiori margini nei bilanci riuscirebbero a perseguire prima e meglio certi target, lasciando indietro tutti gli altri.
Eurobond non soluzione a crisi europea
Si è visto con la sospensione del divieto sugli aiuti di stato. La Germania ha fatto la parte del leone, praticamente prendendosi quasi tutta la torta delle autorizzazioni di Bruxelles. Il motivo è semplice: il suo governo può stanziare sussidi in favore di imprese e famiglie, disponendo di margini fiscali che altri non posseggono. Si dirà, colpa di questi ultimi. Verissimo, ma il punto è un altro: dove vogliamo andare? Se continuiamo a restare ostaggio di un dibattito tra buoni e cattivi, non ne usciamo più. Altra questione riguarda, invece, l’idea che debbano essere gli Eurobond, cioè nuovo debito, l’unica alternativa al declino europeo. Sono la via più semplice per raccogliere risorse, ma l’Unione Europea più che di debiti ha bisogno di crescita e autonomia geopolitica.