Disperano gli azionisti e tremano gli obbligazionisti subordinati del Credito Valtellinese. Il Cda, in occasione della presentazione del piano industriale 2018-2020 “lacrime e sangue” e della relazione trimestrale al 30 settembre, ha annunciato un pesante aumento di capitale. Più di quanto i giornalisti de Il Sole 24 Ore e gli analisti di Akros avevano anticipato alla vigilia.

In buona sostanza, il piano industriale triennale del Creval prevede un aumento di capitale fino a 700 milioni e la contestuale cessione di crediti deteriorati con “GACS” fino a un massimo di 1,6 miliardi di euro entro il primo semestre 2018 e altre cessioni per 500 milioni nella seconda parte dell’anno.

Saranno inoltre chiuse altre 88 filiali – si legge in una nota – con un target di 350 unità entro fine 2018. Per quanto riguarda il piano di riduzione dell’organico, il target è inferiore alle 3.700 unità a fine piano. Il tutto in un’ottica di riportare entro il 2020 il Creval in utile di 150 milioni all’anno.

 

Aumento di capitale Creval da 700 milioni

 

Il progetto ambizioso, denominato Restart Under New-Normality, somiglia tanto a quello adottato per Banca Carige e prevede sostanzialmente un pulizia definitiva dei crediti deteriorati per rimettere in carreggiata la banca rafforzandola patrimonialmente e renderla più redditizia, attraverso la riduzione dei costi, il taglio del personale in esubero e la chiusura delle filiali. Tutto però ruota intorno a un aumento di capitale “monstre” che sarebbe stato garantito (il condizionale è d’obbligo) da Mediobanca, ma che necessita dell’approvazione dell’assemblea dei soci che sarà convocata il prossimo 19 dicembre. In quell’occasione si chiederà agli azionisti di raggruppare nuovamente le azioni Creval 1 ogni 10  (analogo raggruppamento fu fatto un anno fa).

 

I bond subordinati Creval

 

700 milioni sono un boccone troppo grosso – sostengono gli analisti – anche perché il Creval capitalizza oggi meno di 300 milioni e chi dovrebbe sottoscrivere le nuove azioni le pagherebbe troppo care.

Del resto chi comprerebbe una società per 700 milioni quando potrebbe pagarla meno della metà in borsa? Ecco quindi che, come per i recenti casi di Banca Carige, Popolare Vicenza, Veneto Banca, Mps è probabile che anche gli obbligazionisti subordinati, cioè quelli privi di garanzie, alla fine possano essere chiamati in causa per alleggerire il carico dei 700 milioni di euro che la banca presieduta da Miro Fiordi chiede al mercato. Al momento non sono previsti ricorsi ad azioni di Liability Management (conversione dei bond subordinati), come ha lasciato intendere Fiordi in una dichiarazione, ma in questa fase – fanno notare gli analisti – anche le altre banche italiane che lo hanno poi adottato non avevano anticipato nulla. Del resto, data l’entità della somma richiesta, solo uno sforzo congiunto da parte di bondholders istituzionali e soci potrebbe centrare l’obiettivo che il Creval si prefigge di raggiungere entro la primavera del 2018 per presentarsi a fine anno in regola con i nuovi requisiti di solvibilità richiesti dalla Bce al settore bancario europeo. Alla borsa del Lussemburgo, il bond subordinato da 150 milioni con cedola 8,25% e scadenza 2027 (XS1590496987) prezza al momento intorno alla parità, mentre il titolo azionario affonda a Milano del 25% teorico senza riuscire ad aprire le contrattazioni.

 

Creval: perdita nove mesi a 402 milioni

 

Creval ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con una perdita netta di 402,6 milioni di euro, a fronte della perdita di 136 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. Il margine di interesse, si legge in una nota, si attesta 295 milioni (-6,7% a/a), mentre il risultato netto della gestione operativa si attesta a -83 milioni, a fronte di 175 milioni dello stesso periodo del 2016. Al 30 settembre 2017 i crediti verso la clientela si attestano a 17,1 miliardi, sostanzialmente stabili rispetto a fine dicembre 2016. La raccolta diretta registra una consistenza di 19,9 miliardi, in flessione del 5,7% rispetto a 21,1 miliardi a fine dicembre 2016, mentre quella indiretta assomma a 11,9 miliardi rispetto a 11,6 miliardi a fine dicembre 2016.

Il patrimonio netto di pertinenza del gruppo al 30 settembre 2017 registra una consistenza di 1,361 miliardi, rispetto a 1,753 miliardi al 31 dicembre 2016. Il Common Equity Tier1 ratio si attesta al 9,4% e il Tier1 ratio al 9,4%.