L’emissione del BTp Italia 2028 si è conclusa giovedì scorso con un relativo successo, se raffrontata con quella di giugno. Il bond retail indicizzato all’inflazione italiana ha attirato ordini per complessivi 11,99 miliardi di euro. Di questi, 7,28 miliardi sono arrivati da famiglie e private banking, mentre altri 4,71 miliardi dagli investitori istituzionali. La cedola è stata fissata all’1,6% reale garantito su base annua. Questo significa che, indipendentemente dalle variazioni subite dai prezzi al consumo, il BTp Italia 2028 staccherà ogni sei mesi una cedola dello 0,8%.
Il Tesoro prende come riferimento per la rivalutazione l’andamento dell’indice FOI dell’ISTAT. Il livello di base a cui è stato fissato per l’emissione appena avvenuta è di 113,41. In altre parole, cedola e capitale del bond saranno rivalutati al primo pagamento nel maggio 2023 se l’indice FOI per allora sarà salito sopra 113,41. Nel caso in cui rimasse sotto o uguale a tale livello, la rivalutazione non scatterebbe. Ma il Tesoro corrisponderebbe ugualmente la cedola dello 0,8%.
Per le modalità di calcolo un po’ complesse, l’indice FOI a cui prestare attenzione non sarà quello di maggio. In effetti, conosceremmo quel dato solamente a metà giugno in via definitiva. Pertanto, il Tesoro farà riferimento all’indice FOI di due mesi prima. Nel caso specifico, a quello di fine marzo 2023. Del resto, 113,41 è stato il livello raggiunto dall’indice verso la fine di settembre. Già ad ottobre era salito a 117,2.
Rivalutazione cedola e capitale con indice FOI
Dunque, gli obbligazionisti in possesso del BTp Italia 2028 dovranno augurarsi che l’indice FOI nel marzo 2023 sarà salito sopra 113,41. Quante probabilità ci sono? Per capirlo, dobbiamo verificare quale fosse l’indice FOI del marzo scorso. Esso risultò pari a 109,9. Questo significa che, se nel marzo prossimo l’indice FOI sarà ancora pari a 113,41, l’inflazione annuale in Italia sarà scesa al 3,2% per quel mese (113,41/109,9).
Sotto 113,41, l’inflazione annuale in Italia risulterebbe inferiore al 3,2%. A ottobre è salita all’11,8%, ai massimi dal 1984. Molto improbabile che in così breve tempo possa decelerare di tanto. In realtà, ce lo auguriamo come consumatori, ma lo scenario appare irrealistico. Supponendo, invece, che riusciremmo da qui a marzo a dimezzare il tasso di crescita tendenziale dei prezzi al 6%, l’indice FOI a marzo sarà salito a 116,50. In quel caso, la rivalutazione di cedola e capitale sarebbe del 2,7% (116,5/113,41).
In conclusione, gli obbligazionisti non riceverebbero alcuna rivalutazione nel caso in cui nel marzo dell’anno prossimo l’inflazione per l’ISTAT sarà scesa al 3,2% all’anno o meno. Per valori superiori, la rivalutazione ci sarà. E con un’inflazione al 6%, sarebbe del 2,7%. Ricordiamo che per il governo italiano l’inflazione nel 2023 sarà mediamente del 4,3%. Questo significa verosimilmente che si collocherà su percentuali ben superiori nella prima parte dell’anno per scendere nella seconda parte.