Dalla Germania non si sono registrate aperture reali all’Italia e viene ribadita quella che per i tedeschi resterebbe la strada maestra per affrontare l’emergenza Coronavirus, ossia la richiesta di aiuti al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) a condizioni molto limitate. Il governo Conte continua a nicchiare, sostenendo la necessità sia che i prestiti vengano concessi a tutti gli stati richiedenti senza alcuna stigmatizzazione agli occhi degli investitori, sia che siano incondizionati, perché ciò equivarrebbe a un commissariamento. Quel “altrimenti faremo da soli” minacciato dal premier Giuseppe Conte al Consiglio europeo del 26 marzo scorso avrebbe fondamenta reali o sarebbe una pistola scarica?
Allarme Commerzbank: “Vendere BTp, saranno declassati a spazzatura”
In teoria, all’Italia resterebbero due strade alternative al MES.
E se l’Italia emettesse BTp da sola? E’ quello che fa da sempre, ma nel panorama politico e accademico nazionale emerge una soluzione parzialmente differente, per quanto declinata da ciascun proponente in maniera apparentemente diversa. Il leader della Lega, Matteo Salvini, lo ha definiti “bond di guerra”, idea non dissimile per caratteristiche a quella balenata dall’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, e dall’ex premier e attuale senatore a vita Mario Monti, personalità agli antipodi dell’ex ministro dell’Interno.
Cosa sono i BTp irredimibili
Nel 1942, l’Italia emise Buoni del Tesoro per finanziare le imprese belliche per un controvalore nominale di 42 miliardi di lire.
BTp a rischio ristrutturazione? Non tutti, ecco quali titoli sono più sicuri
Oggi, il nostro BTp più longevo è quello che scade nel marzo del 2067 e che offre cedola annua del 2,80%. Questo titolo, venerdì scorso, quotava intorno a 107, offrendo un rendimento di quasi il 2,50%. Dovremmo supporre che per un BTp irredimibile il mercato pretenderebbe una cedola più generosa, per ipotesi del 4%. Sarebbe un bel costo per il Tesoro e sui conti pubblici impatterebbe per lo 0,25% del pil, anche più con la recessione in corso. Tuttavia, almeno ci saremmo assicurati copertura integrale dell’extra deficit da finanziare per via della crisi. Un costo accettabile, se vogliamo, sempre ammesso che troviamo sul mercato tutti questi capitali disponibili.
I più interessati sarebbero certamente i fondi d’investimento, specie quelli di natura pensionistica. Si assicurerebbero rendimenti relativamente elevati di questi tempi e a fronte di rischi di credito, tutto sommato, contenuti. E per abbassare quelli percepiti, il Tesoro potrebbe anche assegnare a questi titoli priorità di rimborso nel caso di un evento creditizio avverso, nonché garanzie reali, come sarebbe l’oro della Banca d’Italia, che alle quotazioni e al cambio euro-dollaro attuali varrebbe sopra i 125 miliardi di euro.
Il costo dei BTp irredimibili
Immaginate, ad esempio che il pil italiano cresca nominalmente del 2% all’anno. Tra 30 anni, tenuto conto dei numeri che girano sulla recessione in corso, l’incidenza delle cedole al 4% su 100 miliardi di BTp irredimbili risulterebbe scesa allo 0,14%. E se il mercato si accontentasse di un 3%, sarebbe dello 0,10%. Insomma, un costo sostenibilissimo nel medio e lungo periodo. Volendo, poi, tra molti anni lo stato potrebbe anche optare per il rimborso graduale dei bond, qualora la loro incidenza sul pil divenisse bassa. Per contro, esistono possibili effetti collaterali. Gli investitori potrebbero percepire queste emissioni come frutto della disperazione. In fondo, se ci pensate sarebbe come se qualcuno bussasse alla vostra porta per chiedervi un prestito impegnandosi l’oro. L’idea che ne ricevereste non sarebbe di garanzia, bensì di estrema difficoltà del tizio a tirare avanti.
Inoltre, qualsiasi beneficio accordato ai BTp irredimibili renderebbe la generalità delle emissioni italiane una tipologia “subordinata”. Si rischia, quindi, un effetto “crowding-out” o “spiazzamento” ai danni dei titoli ordinariamente collocati sul mercato sinora e quelli che lo saranno anche in futuro. E la garanzia sottostante, fornita eventualmente dalle riserve auree, richiederebbe un suo immobilizzo tendenzialmente a vita. Per questo, l’importante sarà comunicare molto bene al mercato, coinvolgendo il più possibile i risparmiatori italiani, la cui ricchezza finanziaria è stata stimata dalla Banca d’Italia nel 2018 a 4.200 miliardi. Di essa, un terzo risulta depositata in banca infruttifera, pronta evidentemente a cogliere le opportunità di guadagno che si presentano. Certo, non sarebbe facile attirare capitali per un investimento senza scadenza, ma se gli italiani percepissero la solidità delle emissioni e la possibilità futura di rivendere i titoli a prezzi anche maggiori, disinvestendo all’occorrenza, un pensiero glielo farebbero.
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