Ieri, il primo BTp green ha avviato le negoziazioni sul Mercato obbligazionario Telematico di Borsa Italiana, a pochi giorni dalla sua emissione. Sappiamo che il titolo è stato piazzato tra gli investitori istituzionali per un controvalore di 8,5 miliardi di euro, a fronte di richieste superiori agli 80 miliardi. L’emissione è avvenuta tramite un collocamento sindacato, cioè attraverso le banche investite per l’occasione del compito dal Tesoro.
Il debutto è stato più che soddisfacente, se è vero che a ridosso della chiusura, la seduta esitava quotazioni in crescita a 101,27.
Dunque, quel +2,1% segnato nel corso della prima seduta ci segnalerebbe che i piccoli investitori sarebbero ben propensi verso questo nuovo strumento finanziario. Esso si distingue dai BTp ordinari per le finalità della raccolta: i capitali dovranno essere utilizzati per centrare gli obiettivi indicati dal Tesoro e legati all’abbattimento delle emissioni inquinanti. Del resto, parliamo di un “green bond”. Attenzione: i soldi che pagate all’atto dell’acquisto del titolo sul mercato secondario non andranno a finanziare alcuna operazione ecosostenibile, in quanto il venditore sarà certamente un investitore privato, istituzionale o meno.
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Giù il rendimento dall’emissione
Il finanziamento delle misure è avvenuto già in fase di collocamento e, a dire il vero, a costi superiori a quelli che il Tesoro avrebbe sostenuto con l’emissione di un BTp ordinario. Di certo c’è anche che coloro che avevano puntato sul BTp green settimana scorsa (banche, fondi, assicurazioni) e che ieri lo hanno rivenduto hanno potuto ottenere un margine di guadagno di oltre il 2% lordo in pochissimi giorni.
Per quale motivo i piccoli investitori sono corsi a comprare il BTp green? Al di là della possibile volontà di premiare un titolo legato alla sostenibilità ambientale, probabile che abbia inciso il desiderio di mettere le mani su una fetta di debito pubblico a lunga scadenza e a metà strada tra la durata a 20 e quella a 30 anni. Con i venti di reflazione che stanno soffiando sui mercati avanzati, da un lato chi possiede titoli longevi è costretto a venderli per non ritrovarsi con un capitale rosicchiato dalla perdita del potere di acquisto, dall’altro il rialzo dei rendimenti accresce la loro appetibilità per chi volesse inserirli in portafoglio. L’Italia ha bisogno, peraltro, di allungare le scadenze medie del suo debito per ridurne l’esposizione alla volatilità dei mercati nel breve e medio termine. I rating ne beneficerebbero, perché quanto più lunga la durata media dei bond, tanto più diverrebbe sostenibile il debito nel suo complesso.
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