Il Venezuela non dichiara default, anzi continua a pagare gli interessi sul debito. In ritardo, ma paga. Queste sono le ultime dichiarazioni ufficiali rilasciate da fonti governative. Peccato, però, che negli ultimi due mesi del 2017 gli obbligazionisti non abbiano più visto arrivare le cedole dei bond sui loro conti. E anche il 2018 non pare mostrare segnali incoraggianti da questo punto di vista, poiché il Venezuela avrebbe da poco mancato il pagamento di interessi per altri 35 milioni di dollari su bond in scadenza quest’anno.
Non vi sono informazioni ufficiali sulle cause del mancato pagamento degli interessi dei bond venezuelani che vedono coinvolte sia le obbligazioni governative che i titoli PDVSA, oltre alla cedola dell’obbligazione Electricidad de Caracas 8,50% 2018 staccata lo scorso mese di ottobre. Tutto tace e regna la confusione. A oggi, di fatto, sia le banche che gli investitori brancolano nel buoi alimentando la percezione che il Venezuela possa dichiarare default da un momento all’altro. Eppure, secondo fonti venezuelane, Caracas avrebbe trasferito i fondi nei termini del periodo di grazia (cioè entro i 30 giorni dalla data di scadenza del pagamento) alle banche depositarie internazionali che però, a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, avrebbero congelato i trasferimenti. Tecnicamente non vi sarebbe quindi default perché l’emittente non è inadempiente e tutto ruoterebbe – secondo alcuni esperti – intorno al meccanismo di compensazione di Euroclear e Clearstream che avrebbe congelato i fondi in attesa della conclamazione del default del paese caraibico. Cosa non ancora avvenuta.
Secondo fonti diverse, invece, Il Venezuela non avrebbe pagato più interessi da novembre 2017 e sarebbe insolvente. S&P Global Ratings classifica questi mancati pagamenti come default, cosa che farebbe scattare il diritto in capo ai grossi fondi internazionali che avevano scommesso sul crac del Venezuela ad incassare i dovuti premi.
La ristrutturazione del debito
La maggior parte del debito pubblico venezuelano emesso sui mercati internazionali è regolato dalla legge di New York e quindi è facile immaginare che l’intoppo sia lì o abbia avuto origine da Bank of New York Mellon che regolarizza il traffico dei pagamenti internazionali. Non è, inoltre, mistero che gli USA stiano facendo di tutto per far saltare il regime di Maduro attraverso l’embargo, le sanzioni, il blocco dei pagamenti, ecc. per mettere le mani sugli immensi giacimenti di petrolio di cui gode il paese passando appunto per un default del Paese. Quest’anno, inoltre, sono previste le elezioni presidenziali in Venezuela e Maduro cercherà di evitare il default a tutti i costi per evitare di perdere la campagna elettorale. Il governo ha anche detto di voler ristrutturare tutto il debito residuo che gli analisti stimano pari a 150 miliardi di dollari. Ma qualsiasi processo di ristrutturazione è reso difficile dal fatto che Maduro e altri funzionari governativi si trovano ad affrontare le sanzioni statunitensi. Ciò impedisce alla maggior parte degli investitori stranieri di negoziare con l’emittente.
Prezzo del petrolio in aumento
Paradossalmente il contesto economico delle materie prime appare oggi meno drammatico rispetto a un anno fa quando il prezzo del petrolio era più basso. Come noto il Venezuela basa il 95% del proprio budget sull’export di greggio e con le quotazioni sopra i 60 dollari al barile il Paese avrebbe più aggio nella gestione delle proprie finanze (al momento le riserva sono scese sotto quota 10 miliardi di dollari), anche se – per gli analisti – il prezzo ideale per riportare in equilibrio i conti statali dovrebbe stare intorno a 80 dollari.