Qualcosa si muove sulla ristrutturazione dei bond del Venezuela. In defualt dal lontano 2017, Caracas non è più riuscita a rinegoziare quella montagna di debito pubblico accumulata dai tempi di Chavez quando il prezzo del petrolio viaggiava stabilmente sui 100 dollari al barile. Causa anche le sanzioni economiche e l’embargo imposti dagli Stati Univi verso un Paese che non si è mai allineato agli interessi politici ed economici americani.

Tuttavia, da più parti vi è oggi la percezione che la rinegoziazione dei bond del Venezuela e di quelli emessi dalla compagnia petrolifera statale PDVSA, in mano a investitori di tutto il mondo, si stia avvicinando.

Al di là degli interessi politici. Come riporta una fonte Reuters dello scorso 3 luglio, le autorità americane e quelle venezuelane hanno ripreso di recente il dialogo sul tema anche in vista delle prossime elezioni presidenziali. Il 28 luglio i venezuelani saranno, infatti, chiamati al voto per confermare o meno Nicolas Maduro al vertice della Repubblica in un momento di profonda crisi economica del Paese.

Bond Venezuela in default dal 2017

Ma cosa c’entrano i bond del Venezuela con le elezioni presidenziali? Secondo gli esperti, un conferma di Maduro alla presidenza per altri 6 anni non lascerebbe molto spazio a una rapida distensione dei rapporti fra USA e Venezuela. Un cambiamento radicale di rotta della politica con la vittoria delle opposizioni, invece, vedrebbe la Casa Bianca più propensa ad allentare rapidamente le sanzioni economiche al Paese caraibico e quindi ad aprire la strada verso una rinegoziazione del debito pubblico con i creditori più veloce.

In ogni caso il Venezuela ha necessità di tornare sui mercati finanziari internazionali in fretta. Il Paese è alla fame e l’inflazione è fuori controllo da troppo tempo. Inoltre, fanno notare gli analisti, con il prezzo del petrolio che è tornato stabilmente intorno agli 80 dollari al barile, oggi è meno difficile avviare trattative con gli investitori rispetto a qualche anno fa quando i corsi del greggio erano più bassi.

E’, infatti, noto che le entrate in valuta forte del Venezuela dipendono per circa il 90% dall’export di petrolio e gas.

Non è un caso che lo scorso mese di aprile, come riportato da Bloomberg, il governo di Caracas abbia conferito mandato di consulenza alla prestigiosa società di investimenti Rothchield & Co per studiare la ristrutturazione di 154 miliardi di dollari di debito pubblico andato in default 7 anni fa. Un processo non semplice e che dipenderà anche dall’esito delle elezioni presidenziali di fine luglio con il riconoscimento da parte della comunità internazionale del risultato del voto.

I prezzi delle obbligazioni tornano a salire

Nel frattempo, sul mercato grigio (over the counter) i titoli di stato del Venezuela sono tornati a salire scambiando intono al 20% del valore nominale. Solo tre mesi fa valevano il 15%, secondo le rilevazioni Bloomberg. Lo stesso dicasi per i bond della compagnia petrolifera PDVSA il cui prezzo viaggia oggi intorno al 14% del valore nominale, ma prima trattavano 5 punti sotto. Secondo gli analisti di JP Morgan, qualora si arrivasse in futuro a un accordo con i creditori, la ristrutturazione dei titoli di Stato potrebbe implicare un haircut del 45-50% del valore nominale. Una percentuale inferiore sarebbe riconosciuta ai bond PDVSA.

In ogni caso è presumibile che la ristrutturazione dei titoli in defualt seguirà più o meno le stesse dinamiche di quanto avvenuto in passato per i crac di Argentina ed Ecuador. Vale a dire uno scambio con obbligazioni di nuova emissione a lunga scadenza con interessi crescenti nel tempo (step up) e rimborso ammortizzato. La via migliore e più prudente, in questi casi, per ritrovare fiducia con i mercati. Tutto dipenderà, però, anche dalle prospettive economiche del Venezuela, ma soprattutto dal risultato delle elezioni presidenziali del 28 luglio e dalle relazioni con gli USA.