Con il taglio dei tassi di interesse a giugno la Banca Centrale Europea (BCE) ha avviato la svolta monetaria. Nei due anni precedenti aveva alzato il costo del denaro, mettendo a dura prova i titoli di stato del Sud Europa. Quando siamo entrati in una nuova fase, possiamo affermare che il test sia stato superato. E alla grande da stati come Portogallo e Grecia, i cui bond offrono rendimenti invidiabili per l’Italia. Il decennale di Lisbona rende il 2,85% scarso, quello di Atene meno del 3,30%.

Il BTp a 10 anni non meno del 3,60%. Vuol dire che gli spread dei due paesi si attestano su livelli ben inferiori a quelli italiani. Addirittura, quello lusitano si colloca sotto i livelli francesi di circa 15 punti base o 0,15%.

Rating bond Portogallo e Grecia

Numeri che avremmo definito folli solamente pochi anni addietro, quando i bond di Portogallo e Grecia furono declassati dalle agenzie di rating internazionali a “spazzatura”. Anzi, ancora oggi per Moody’s lo sono i titoli della seconda, il cui giudizio resta “non investment grade”: Ba1. L’Italia vanta rating migliori della Grecia: BBB/BBB/Baa3 per S&P/Fitch/Moody’s, ma decisamente più bassi di quello assegnati al Portogallo, che sono A-/A-/A3. Agli inizi del decennio passato, Grecia, Irlanda e Portogallo furono costretti a chiedere aiuto alla Troika (UE, BCE e FMI) e accettarne i relativi salvataggi o bailout per evitare il default.

Nel maggio del 2012, i bond della Grecia in mano ai creditori privati furono oggetto di ristrutturazione del debito con tanto di “haircut” del 53,5% e allungamento delle scadenze. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. I conti pubblici lusitani sono stati ampiamente risanati. Il debito pubblico è sceso fin sotto il 100% del Pil nel 2023 e la traiettoria discendente per Lisbona è prevista anche per i prossimi anni.

Parliamo di un paese che è riuscito a chiudere l’anno scorso il bilancio in attivo dell’1,20% del Pil. La Grecia prima del Covid aveva raggiunto il pareggio di bilancio e nel 2023 aveva un deficit dell’1,6% contro il 7,2% dell’Italia. Ma c’è da dire che Atene non paga gli interessi di mercato su oltre tre quarti del suo debito, quello nelle mani dei creditori pubblici europei. E il debito pubblico resta sopra il 160% del Pil.

Scarsa prudenza fiscale in Italia

E’ logico che i bond di Portogallo e Grecia rendano così poco o le critiche di noi italiani sono alimentate dall’invidia? Partiamo da una constatazione: i governi a Roma non hanno ostentato la stessa volontà politica di risanare i conti pubblici come a Lisbona e, in misura minore, ad Atene. Quali che siano stati i colori politici, i premier che si sono succeduti nell’ultimo quindicennio hanno sempre invocato la “flessibilità” fiscale per gestire le finanze senza eccessive rigidità imposte da Bruxelles. Persino Mario Draghi s’inventò la definizione di debito buono nella speranza che avrebbe potuto convincere gli alleati a spendere di più e a chiudere un occhio sui nostri disavanzi.

Tuttavia, la solidità di un debito sovrano non è legata esclusivamente alla prudente gestione dei conti pubblici. Il caso esemplare fu l’Irlanda, la cui economia crollò con la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09 e sfiorò il default. Nel decennio precedente aveva sempre chiuso il bilancio in attivo e il suo debito ammontava a meno del 25% del Pil. L’esempio celtico è un po’ estremo per alcune peculiarità legate alle caratteristiche di “paradiso fiscale” per le multinazionali. Ciò non toglie che Portogallo e Grecia abbiano problemi similari. Entrambi sono cronici importatori netti di merci dall’estero. Mai una volta dalla Seconda Guerra Mondiale sono riusciti ad avere una bilancia commerciale in attivo.

Squilibri macroeconomici forti

Gli squilibri commerciali denotano una forte carenza di competitività delle industrie locali. E il disavanzo era superiore al 10% del Pil in Portogallo e al 14% in Grecia nel 2023. Portoghesi e greci vivono al di sopra delle loro possibilità? Più che altro non dispongono di un’industria, a differenza dell’Italia. Noi abbiamo, malgrado tutto, la seconda più grande manifattura europea dopo la Germania. E siamo esportatori netti cronici, cioè vendiamo più merci e servizi all’estero di quanto ne acquistiamo. Cosa c’entra tutto questo con la solidità dei bond di Portogallo e Grecia, vi chiederete? C’entra, eccome. Un’economia che non produce, non è robusta. Basta un venticello di crisi internazionale per portare a situazioni simili a quelle vissute a Dublino oltre un decennio fa.

Anche perché buona parte del miglioramento fiscale nei due paesi si deve più che alle politiche di austerità, al ritorno alla crescita. E questa è stata trainata dal boom del turismo. Il settore incide per il 20% del Pil in Portogallo e il 15% in Grecia. Non bisogna essere troppo compiacenti. I vacanzieri stranieri sono volubili. Quest’anno prenotano a Santorini, l’anno prossimo alle Maldive. Ed è assodato che il turismo da solo non porti a un upgrade qualitativo dell’economia. Nel breve termine stimolano la crescita e questo va benissimo, perché si creano posti di lavoro. Ma parliamo perlopiù di posizioni poco qualificate e a basso reddito.

Bond Portogallo e Grecia, occhio a glorie effimere

In conclusione, i bond di Portogallo e Grecia si stanno godendo il loro momento di gloria. E va bene così. L’importante che non perdiamo il raziocinio. I mercati hanno la memoria corta, specie se non ci hanno rimesso le penne più di tanto al tempo della crisi. In effetti, il default di fatto ad Atene fu dichiarato dopo due anni il primo bailout, quando i buoi erano scappati dalla stalla e la ristrutturazione era stata nei fatti prezzata.

Ricadde in grossa parte sulle spalle delle banche elleniche. Nessuno vuole minimizzare i meriti dei governi, specie portoghesi. Vogliamo porre, semmai, l’accento sull’estremizzazione di questi ultimi anni. L’Italia è trattata sui mercati come se fosse fallita, mentre non ha mai subito alcun default nella sua storia e né lo rischia da qui ai prossimi anni. Chi fallì, oggi viene acclamato come un caso di successo.

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