L’idea dei bond perpetui è stata rilanciata nei giorni scorsi dal presidente della Consob, Paolo Savona, che li ha definiti niente di meno che “di guerra”, facendo riferimento alla pratica di emetterli nelle fasi belliche per finanziare le operazioni militari, quale sarebbe figurativamente quella attuale di lotta contro la pandemia. Noti anche come “irredimibili”, si tratta di obbligazioni senza scadenza certa. Nei casi di emissioni sovrane più recenti, come quelli di Argentina e Austria nel 2017, i rispettivi titoli del debito pubblico presentano solo una data “callable” fissata per il 2117, cioè tra quasi 100 anni.
I BTp irredimibili di Savona hanno il sapore di un ricatto ai risparmiatori italiani
In molti vi starete chiedendo per quale ragione bisognerebbe acquistare un bond senza scadenza. In realtà, ve ne sarebbero diverse. Anzitutto, il tasso offerto potrebbe risultare appetibile, garantendo all’obbligazionista un flusso di reddito costante e superiore a quello che incasserebbe con investimenti alternativi. Per non parlare del fatto che il bond può sempre essere venduto a terzi, facendo tornare l’obbligazionista in possesso del capitale, magari dopo alcuni anni di laute cedole riscosse.
Default e volatilità
Ma proprio i casi di Argentina e Austria ci segnalano anche i rischi connessi all’operazione. Uno è certamente quello di credito. Così come per ogni altro bond, i perpetui comportano l’assunzione di un rischio default, che nel lunghissimo periodo non è nemmeno stimabile o immaginabile. Chi può dire oggi se tra 50 anni l’America non fallirà? Che ne sappiamo di come sarà il mondo tra alcuni decenni? E l’Argentina è entrata nuovamente in crisi finanziaria dopo pochi mesi dall’emissione con successo del suo bond a 100 anni.
Il secondo rischio, molto più concreto, riguarda i tassi di mercato.
Perché la volatilità può nuocere all’obbligazionista? Immaginate di aver acquistato alla pari (100) un BTp senza scadenza con cedola 3% e che dopo 2 anni esso sul mercato valga 85 centesimi. Nel caso vogliate rivenderlo, perdereste il 15% del capitale investito. Il caso austriaco è lampante in tal senso: quotazioni che sono esplose fino a un massimo di 236 nel marzo scorso, scendendo all’attuale prezzo di 196. Chi avesse acquistato il bond all’emissione del settembre 2017 e lo avesse rivenduto 3 mesi fa si sarebbe portato a casa un guadagno, al netto delle cedole, del 136% in appena 2 anni e mezzo. Chi lo avesse acquistato a marzo, oggi si ritroverebbe in portafoglio un asset in perdita virtuale di circa il 20%. Non parliamo nemmeno dell’Argentina: il bond ha perso fino a oltre il 75% e ad oggi segna -63% rispetto all’emissione. Del resto, Buenos Aires versa nel nono default della sua storia.
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Liquidità e inflazione
Altro rischio: di liquidità. Non ci sono molti scambi per questi titoli sui mercati regolamentati, per cui chi vende può dover attendere relativamente molto tempo per trovare un acquirente disposto a pagarglieli ai prezzi di mercato, in alternativa potrebbe trovarsi costretto a vendere ai prezzi offerti dall’acquirente.
Infine, l’inflazione. Da anni, sembra che il problema non esista più, lo abbiamo quasi rimosso del tutto dalle nostre analisi, ma in un orizzonte temporale infinito, quale sarebbe quello di un bond perpetuo, dovrebbe essere considerato, eccome! Pensate solamente a un’inflazione annua media dell’1% per 50 anni: tra mezzo secolo, il potere di acquisto si sarà ridotto di quasi il 65%. Ammesso che il titolo mantenesse la quotazione di 100, sarebbe come se ne valesse effettivamente 35. Certo, nel frattempo avrete incassato le cedole, ma siamo sicuri che questo tipo di investimento a reddito fisso sia azzeccato per lasciare in eredità a figli e nipoti un capitale o non sarebbe meglio optare forse per orizzonti temporali più corti o meno incerti?
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