Un’altra svalutazione del cambio dopo otto mesi. All’inizio di questo mese la Banca Centrale della Nigeria ha mutato i criteri di fissazione del tasso di cambio, permettendo così al naira di muoversi maggiormente in linea con i fondamentali di mercato. Ne è seguito un collasso del 40% contro il dollaro. Ma sembra che non basti, se è vero che al mercato nero la valuta emergente risulta essere ancora di quasi il 5% più debole del tasso ufficiale. In tutto questo marasma, i bond nigeriani denominati in dollari si sono prima apprezzati e nelle ultime sedute stabilizzati.

Non è poco.

Multinazionali in fuga dalla Nigeria

Ha fatto impressione l’addio di Procter & Gamble al paese africano per l’impossibilità di convertire i proventi maturati in dollari. E’ solo una delle centinaia di multinazionali che hanno deciso di lasciare la Nigeria per la carenza di valuta estera, che rende proibitive le importazioni e, quindi, la produzione. Il presidente Bola Tinubu, in carica da meno di un anno, sta cercando di risollevare le sorti di quella che fino a pochi anni fa veniva definitiva “stella d’Africa” per le sue potenzialità promettenti. L’economia da 400 miliardi di dollari è rimasta vittima di corruzione, violenze di gruppi islamisti e inefficienze statali spaventose.

Bond nigeriani ad alto rischio default

Tornando ai bond nigeriani, il loro rating è assai basso: B- per S&P e Fitch, Caa1 per Moody’s. Il rischio default è considerato altissimo. In effetti, parliamo di un paese con un debito pubblico relativamente basso (meno del 40% del PIL), ma la cui spesa per interessi assorbe quasi i tre quarti delle entrate fiscali. Queste sono ferme al 7% del PIL, una delle percentuali più basse al mondo. Da cui un deficit che continua ad attestarsi al 5%. E parliamo di un esportatore di petrolio. Ma pensate che la Nigeria non riesce ad estrarlo a sufficienza.

Appartiene all’OPEC e le è stata assegnata di recente una quota di 1,8 milioni di barili al giorno, ma si è fermata a 1,4 milioni.

Scarseggiano i dollari

Per valutare la solidità dei bond nigeriani in dollari dobbiamo, anzitutto, capire quanta valuta estera vi sia in cassa. Le riserve valutarie a gennaio sono leggermente risalite a 33,37 miliardi, ma tenete conto che una ventina sono da restituire a seguito della stipulazione di contratti derivati. E il debito estero del settore pubblico ammonta a circa 42 miliardi, di cui quasi un quarto a breve termine. Per fortuna la bilancia commerciale è in attivo, così come le partite correnti (inclusive dei movimenti finanziari) tendono al sostanziale pareggio.

Questo significa che le relazioni con il resto del mondo per il momento non impatterebbero negativamente sulle riserve. Ma c’è da dire che la banca centrale da anni limita le importazioni di beni all’osso. D’altra parte, la loro graduale rimozione si sta accompagnando alla drastica svalutazione di questi mesi, che a sua volta dovrebbe rendere più onerose le importazioni e favorire così la produzione domestica. Processi non immediati, anche perché i produttori esteri non vogliono attendere di vedere i risultati.

Ecco i rendimenti dei bond nigeriani

I bond nigeriani in dollari con scadenza 28 novembre 2027 e cedola 6,50% (ISIN: XS1717011982) sono risaliti a quasi 91 centesimi dagli 81 di ottobre. Offrono un rendimento lordo superiore al 9,65%. La scadenza 16 febbraio 2032, della durata residua di otto anni e con cedola 7,875% (ISIN: XS1566179039), si acquista per 88 centesimi dai 74,50 di ottobre e rende il 10,37%. E andando sul tratto più lungo della curva, troviamo la scadenza del 23 febbraio 2038 con cedola 7,696% (ISIN: XS1777972941) a meno di 80 centesimi rende il 10,80%. Ad ottobre scambiava a meno di 65.

Ci troviamo dinnanzi a rendimenti circa tripli rispetto ai nostri titoli di stato. Rischio di cambio a parte, qui il problema è dettato dalla carenza di valuta con cui il governo dovrebbe fronteggiare i pagamenti dei bond nigeriani nei prossimi mesi e anni.

La svalutazione da sé non basta, se poi non si trovano i modi per rilanciare la produzione domestica. Ad oggi, l’ormai ex “stella d’Africa” ha legato eccessivamente le sue sorti al petrolio, non essendo stata neppure in grado di approfittare delle fasi positive per le quotazioni internazionali.

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