Un gruppo di creditori, che dichiara di essere in possesso del 40% del capitale riguardo all’unico bond in dollari emesso dall’Etiopia oggi in circolazione, si è mostrato contrario alla richiesta informale giunta dal governo di procedere ad un “haircut” del 20%. Gli obbligazionisti ritengono che la misura ventilata non sia giustificata dalle condizioni macroeconomiche del paese africano e hanno invitato l’esecutivo di Addis Abeba a fornire dati utili a rilevare la consistenza della propria offerta, nonché a negoziare “in buona fede” per la ristrutturazione del debito.
Riserve valutarie a secco
L’Etiopia formalmente andò in default alla fine dello scorso anno, terzo stato africano in era Covid dopo Zambia e Ghana. Il suo bond in dollari scade l’11 dicembre prossimo e offre cedola lorda fissa del 6,625% (ISIN: XS1151974877). Le agenzie internazionali hanno tagliato i rispettivi giudizi a Selective Default per S&P, Restricted Default per Fitch e Caa3 per Moody’s. Il debito estero dell’Etiopia ammonta a 28,9 miliardi, un valore relativamente basso in rapporto al Pil. Questi sfiorava i 165 miliardi alla fine del 2023.
Il problema sta nel fatto che non esistono sufficienti riserve valutarie per pagare il bond dell’Etiopia in dollari in scadenza tra quattro mesi. Queste sono attese per quest’anno a soli 3,1 miliardi. Metà del debito estero si ha verso creditori pubblici internazionali: Cina 7,4 miliardi, Arabia Saudita 1 miliardo e membri del Club di Parigi per altri 2 miliardi.
Accordo con FMI a luglio
Di recente l’Etiopia aveva ventilato un’altra ipotesi per rinegoziare il suo bond in dollari: emissione di un nuovo bond con pagamenti a decorrere dal 2028. Dai creditori è emersa la volontà di negoziare su una proposta che sostanzialmente sia a metà strada tra la precedente e quella attuale. In sostanza, sembra che il taglio del valore nominale non sia escluso. Tuttavia, essi chiedono che sia ben inferiore al 20% e in cambio concederebbero al governo il “congelamento” dei pagamenti per gli anni futuri.
L’Etiopia a luglio ha siglato un accordo con il Fondo Monetario Internazionale da 3,4 miliardi. Esso prevede, come sempre in questi casi, la previa imposizione di congrue perdite a carico dei creditori privati e pubblici. Anche in tal senso va inquadrata la richiesta ufficiosa di Addis Abeba agli obbligazionisti. Sembra un modo per accelerare lo sblocco della prima tranche. Washington non sgancia mai un centesimo prima di verificare che il debito pubblico sia sostenibile a seguito della sua rinegoziazione con i creditori.
Bond Etiopia in calo
Il bond in dollari dell’Etiopia perdeva ieri l’1,23% e scendeva a meno di 77 centesimi. Sfiorava i 79 centesimi una decina di giorni fa. Tuttavia, prima della dichiarazione del default era sprofondato sotto i 59 centesimi. L’ottimismo di questi mesi sui mercati è parso in buona parte ingiustificato. Il caso conferma gli elevati rischi nel puntare sui mercati emergenti. L’Africa è stata travolta in questi mesi da un’ondata di proteste sanguinarie. Uganda, Kenya e Nigeria sono particolarmente sotto pressione. Nairobi ha dovuto rimangiarsi le misure di austerità varate, un fatto che accresce le criticità sul piano fiscale.