Il 1 luglio 2014 aumenterà dal 20 al 26% l’imposta sulle cosi dette “rendite finanziarie”. L’inasprimento fiscale (art. 3 del Dl n. 66/2014) interesserà tutti gli strumenti finanziari, dai fondi d’investimento, alle obbligazioni, ai conti depositi, depositi postali, al capital gain, fino alle giacenze sui conti correnti (la cui tassazione era stata abbassata da Monti dal 27% al 20% e ora rialzata dal governo Renzi). Rimarranno esclusi solo i titoli di stato italiani ed esteri appartenenti alla “white list” sui quali continueranno a gravare aliquote impositive del 12,50%.
Cosa cambia dal 1 luglio 2014 Detto ciò, cosa cambierà dal
1 luglio sulle minusvalenze e potenziali plusvalenze collegate al deposito titoli dei risparmiatori? Come accadde due anni fa quando le imposte passarono dal 12,50% al 20% sotto il governo Monti, anche questa volta vi sarà un ricalcolo delle minusvalenze e delle potenziali plusvalenze che saranno adattate alla nuova aliquota fiscale. In altre parole, il fisco italiano dal 1 luglio tasserà i guadagni di borsa e gli interessi in maturazione sulle obbligazioni del 30% in più. Non solo, ridimensionerà le eventuali minusvalenze giacenti del 23% per effetto dell’accresciuta tassazione. Pertanto chi, ad esempio, ha 1.000 euro di minusvalenze al 30 giugno, se ne ritroverà poco meno di 800 il giorno dopo ed eventuali guadagni di borsa saranno assoggettati alla nuova aliquota fiscale del 26%. La legge, tuttavia, consente al risparmiatore di affrancare al 30 giugno i valori degli strumenti finanziari per non perdere il diritto a compensare pienamente le minusvalenze maturate senza dover per forza di cosa vendere i titoli prima del passaggio dal 20 al 26% dell’aliquota fiscale.
Cosa s’intende per affrancamento Per
affrancamento si intende più specificatamente la possibilità di mantenere la tassazione al 20% fino al 30 giugno anche per posizioni ancora attive (cioè aperte) dopo questa data. Ciò vale solo per il regime fiscale amministrato, giacché per quello dichiarativo l’affrancamento sarà comunque obbligatorio. In pratica l’affrancamento consiste in una vendita e acquisto fittizio e gratuito da parte delle banche degli strumenti finanziari detenuti sul deposito titoli in maniera tale che questi vengano “affrancati” ai prezzi di mercato rilevati la sera del 30 giugno.
In questo modo, coloro che detengono minusvalenze potranno compensarle pienamente prima dell’introduzione della nuova aliquota fiscale, senza vedersele decurtare dal 1 luglio. In ogni caso, questa possibilità non è automatica e andrà richiesta esplicitamente entro il 30 settembre, salvo il caso del risparmio gestito e con esclusione degli asset esclusi dal decreto.
Affrancamento, quando conviene chiederlo [fumettoforumleft]Ma quando conviene chiedere l’affrancamento? Innanzi tutto è bene precisare che ciò è utile solo se si intende continuare a mantenere il portafoglio e se si ha intenzione di sfruttare al meglio le minusvalenze accumulate o per pagare meno imposte sul capital gain potenziale. L’affrancamento permette infatti di valorizzare
tutti gli strumenti finanziari alla data del 30 giugno e qui ogni risparmiatore deve opportunamente farsi i propri conti, anche perché la richiesta di affrancamento non può essere fatta su un singolo titolo, ma sull’intero deposito titoli detenuto presso l’intermediario. Un esempio chiarirà meglio. Avendo in portafoglio un titolo obbligazionario acquistato a 90 che al 30 giugno vale 100, con l’affrancamento è come se venisse venduto e riacquistato a quel prezzo di mercato. I 10 punti di plusvalenza verranno tassati al 20%. In seguito se l’obbligazione venisse venduta, il capital gain verrà tassato al 26% non più in base al prezzo originario di acquisto a 90, ma a 100. Diversamente se si ha un titolo acquistato a 100 e che vale 90, l’affrancamento produrrebbe una minusvalenza che verrebbe però ridimensionata a partire dal 1 luglio e quindi non risulta conveniente affrancare. In altre parole, se si sta guadagnando conviene affrancare, diversamente no. Chiedendo l’affrancamento, l’aliquota 26% verrà applicata solo a partire dal 1 luglio, mentre se non lo si chiede vale il
principio della retroattività, per cui tutti gli strumenti finanziari che saranno venduti o rimborsati dopo il 1 luglio saranno tassati al 26% anche per la parte maturata prima.
Se entro il termine del 30 settembre i contribuenti non dovessero scegliere l’affrancamento, pagheranno pertanto una tassa retroattiva relativa ai guadagni passati, visto che l’aliquota al 26% colpirà anche i guadagni maturati gli anni scorsi.
Quando l’affrancamento è escluso Per le attività finanziarie in regime gestito e le quote di fondi comuni d’investimento italiani ed esteri diversi da quelli immobiliari non è prevista alcuna opzione per l’affrancamento dato che il regime transitorio regola a sufficienza il problema dell’aumento d’aliquota. L’affrancamento non riguarda i
titoli di stato italiani ed esteri white list, nè quelli sovranazionali ad essi equiparati (Bei, Birs, Bers, ecc.) né, infine, i titoli degli enti territoriali white list, per i quali l’aliquota era al 12,5% e resta al 12,5%, per cui il problema dell’affrancamento non si pone proprio.