Il mercato obbligazionario mondiale ha subito nelle ultime settimane il più forte “sell-off” dal 2016. Alla fine di agosto, i rendimenti dei bond governativi e corporate erano scesi ai minimi storici in moltissimi casi. Il Bund a 10 anni offriva il -0,72%, il Treasury di pari durata meno dell’1,50%. Adesso, il titolo tedesco si aggira intorno o anche sotto lo 0,30%, quello americano in area 1,90% e solo le tensioni commerciali ancora presenti tra USA e Cina impediscono per il momento che torni a quota 2%.
La bolla dei mercati finanziari ci costringe a riflettere su come investire
L’aspetto che più stupisce di questi dati sta nel fatto che la pioggia di vendite che sta facendo salire i rendimenti e scendere i prezzi stia avvenendo durante una fase monetaria espansiva sia negli USA che in Europa. La Federal Reserve ha tagliato anche in ottobre i tassi di un altro quarto di punto e per la terza volta quest’anno, mentre la BCE è tornata da questo mese ad acquistare 20 miliardi di bond mensili e ha già tagliato ulteriormente i tassi overnight al -0,50%, tenendo aste T-Ltro con cadenza trimestrale e iniettando così liquidità alle banche dell’area.
Malgrado tutto questo, i bond stanno ripiegando. In sé, sarebbe un segnale positivo. Il Treasury a 2 anni rende 26 punti base in meno di quello a 10 anni, quando proprio all’apice dei rendimenti negativi nel mondo lo spread tra le due scadenze era sceso in territorio negativo, toccando il -0,04%. Questo significa che i timori di recessione per l’economia americana si stanno diradando, così come anche la Brexit fa meno paura, in attesa di verificare se con le terze elezioni in 4 anni e mezzo nel Regno Unito, Londra avrà finalmente una maggioranza in Parlamento con idee chiare su come divorziare da Bruxelles.
Sell-off preoccupante per le dimensioni
Ma si fa presto ad essere contenti. 5.600 miliardi in meno di bond con rendimenti negativi sono un’enormità. Essi equivalgono alla somma dei pil di Germania e Italia, tanto per farci un’idea, e questa montagna è venuta meno in poche settimane. Il rialzo dei rendimenti significa ribasso dei prezzi. Molti investitori, specie fondi speculativi, hanno alleggerito le loro posizioni per monetizzare i guadagni e uscire dal mercato prima che questo implodesse. Parte di questa immensa liquidità disinvestita è stata già o verrà impiegata sui mercati azionari, per il resto aumenterà il cash disponibile dei fondi. Tutto apparentemente fisiologico, se non fosse per le dimensioni del fenomeno.
Se è bastato un piccolo rientro delle paure estive per far sprofondare l’entità delle obbligazioni con rendimenti sotto lo zero e se nemmeno l’accomodamento monetario è riuscito a frenare le vendite, cosa accadrebbe se l’inflazione risalisse più velocemente di quanto sinora previsto in Nord America ed Europa e le banche centrali avviassero la normalizzazione monetaria in Europa e Giappone? Il rialzo repentino dei rendimenti implica aumenti dei costi di rifinanziamento per stati e imprese.
Gli aggiustamenti fiscali da un lato e dei bilanci societari dall’altro necessiteranno tempo prima di produrre effetti, nel frattempo la domanda ancora relativamente elevata di capitali farà deprezzare i titoli di stato e corporate. Se tutto avvenisse troppo velocemente, qualche governo e tante società con alto leverage andranno a gambe per aria. Le banche centrali impediranno che ciò accada, ma alla luce di queste settimane siamo ancora sicuri che le loro azioni si riveleranno efficaci?
Nemmeno i corporate bond ci salvano più dai rendimenti negativi